Data: 14/12/2012
 

La verità sui fantasmi della Hedia. Intervista esclusiva

Accursio Graffeo, nipote di uno dei marinai "ufficialmente naufragati", portavoce di alcune famiglie dei dispersi, ci mostra un voluminoso plico di documenti. Su uno di questi c'è scritto: per venti persone non si può fare una guerra

La verità sui fantasmi della Hedia. Intervista esclusiva

Il cielo di Busto Arsizio è grigio, piove e fa freddo. Scenario da profondo nord italiano, non certo il più adatto per parlare di mare e di una vicenda avvenuta molti anni fa in pieno Mediterraneo. Ma l'entusiasmo con cui Accursio Graffeo, 42 anni, siciliano trapiantato a Bergamo, ricostruisce il mistero della nave Hedia riesce a colmare le evidenti distanze di spazio e di tempo e a coinvolgere chi ascolta. 
Nel 1962, mentre l'Algeria conquistava l'indipendenza, la Hedia scomparve nel nulla nel Canale di Sicilia insieme al suo equipaggio composto da 20 uomini, 19 italiani e un inglese. Sei mesi dopo alcuni dei marinai vennero riconosciuti in una fotografia scattata a dei prigionieri nel consolato francese di Algeri. Furono cercati, ma nessuno di loro venne mai ritrovato. Si parlò quindi di sosia e di familiari affetti da psicosi collettiva. Eppure sono tanti gli elementi mai chiariti di quel giallo marinaro senza precedenti, iniziato durante una burrasca a poche miglia dalle acque italiane, diciotto anni prima di Ustica. In un bar, davanti a un cappuccino fumante, Graffeo, nipote di uno di quei marinai e portavoce di alcune delle famiglie dei dispersi, mostra un voluminoso plico di documenti: sono vecchi ritagli di giornali, lettere e appunti. Su uno di questi c'è scritto: “Per venti persone non si può fare una guerra”.

Signor Graffeo, mi spiega questa frase?
Questa frase venne pronunciata a Roma da Amintore Fanfani, che all'epoca ricopriva il ruolo di Presidente del Consiglio, a margine di un incontro voluto con insistenza dai parenti dei marinai della motonave Hedia.

Quando avvenne questo incontro?
Il 22 febbraio 1963. Lo posso dire con certezza perché dopo tanti anni mia nonna, Rosa Guirreri, che con altri vi partecipò, conserva ancora il biglietto del treno che da Sciacca la portò alla stazione Termini. Erano passati undici mesi dalla scomparsa dell'equipaggio e le famiglie dei dispersi si riunirono per sollecitare il governo ad interessarsi della sorte dei loro cari.

 E invece?
Il Presidente del Consiglio si limitò a ribadire che la nave era affondata per via del mare forza 8 che in quelle ore agitava il Canale di Sicilia. Ma alla fine dell’incontro, sollecitato dalle incalzanti richieste di chiarimenti dei parenti dei marinai, alcuni dei quali gli ricordarono che i loro figli erano appena maggiorenni, il Presidente disse quella frase che i presenti non hanno mai dimenticato: “per venti persone non si può fare una guerra”.

Cosa voleva dire?
Oggi come allora la mia famiglia e quelle degli altri marinai se lo chiedono. Quell'allusione alla guerra non è sembrata fin da subito casuale. Vede, è proprio mentre era in corso una guerra che la Hedia sparì, e ciò ci ha fatto sempre pensare che il presidente Fanfani si fosse riferito ad una situazione internazionale precisa.

Andiamo con ordine. Almeno ufficialmente il piroscafo Hedia affondò in una tempesta il 14 marzo 1962. Cosa le fa pensare che le cose non siano andate così?
Nessuno ha mai messo in dubbio che in quei giorni la situazione meteorologica fosse pessima. Ma ci sono tantissimi altri elementi poco chiari da tenere presente. In primo luogo il fatto che un mercantile di quasi cento metri non sparisce nel nulla senza lasciare alcuna traccia, o almeno non in uno tratti di mare più trafficati del Mediterraneo.

Quel è stata l'ultima rotta seguita dalla nave prima di scomparire?
La Hedia era salpata il 10 marzo da Casablanca alla volta di Ravenna, carica di 4300 tonnellate di fosfati attesi a Porto Marghera. Abbiamo una copia dell’ultimo cablogramma che il comandante della nave ha inviato all'armatore, risale alle ore 10:00 del 14 marzo 1962 e dice: “mare forza 8 da nord, velocità navigazione 7 nodi, persistendo passeremo a sud della Sicilia”. Cioè sottovento, infatti quando se ne sono perse le tracce, la Hedia si trovava nei pressi dell'arcipelago tunisino di La Galite, quindi di fatto al riparo dal mare mosso. Tenga comunque presente che nonostante la violenza delle onde tante altre navi hanno affrontato la burrasca ma nessuna, a parte la nave sui cui viaggiavano i 19 italiani, risulta essere colata a picco.

Però la Hedia era una barca piuttosto vecchia, giusto?
Era senza dubbio vecchia, ma era anche una barca molto robusta. Era stata costruita nel 1915 e rimodernata nel 1954 dopo una violenta collisione avvenuta nel mare del nord. Pensi che anche in quell'occasione la nave riuscì a rientrare in porto nonostante avesse una fiancata squarciata. Questo ci tengo a precisarlo perché, per giustificare l’affondamento, alcuni giornali scrissero che la nave era vecchia, non considerando il fatto che la Hedia era stata revisionata appena un mese prima del suo ultimo viaggio. Insomma doveva essere una barca ancora in buone condizioni, altrimenti non si spiegherebbe come mai una “carretta” era assicurata per un importo di 127 milioni di lire. Una cifra altissima in quei tempi.

Vecchia eppure in buone condizioni, almeno ufficialmente. Ma nel caso di una improvviso pericolo, il piroscafo sarebbe stato in grado di lanciare un SOS? Disponeva della tecnologia necessaria per richiedere aiuto?
Certamente. Disponeva di almeno tre dispositivi per la richiesta di soccorso, uno dei quali completamente automatico. Tuttavia nessuna richiesta di SOS venne mai lanciata, la nave sembrò davvero essere svanita nel nulla.

Possibile che non sia mai stata ritrovata una prova dell'avvenuto naufragio?
A dire la verità il 26 marzo 1962 due pescherecci di Lampedusa portarono a terra due salvagenti con la scritta “Hedia-Monrovia” e un tavolone di boccaporto. Tutto qui, non fu mai ritrovato altro. Non le sembra troppo poco? Personalmente, dopo delle forti mareggiate, mi è capitato di trovare lungo il litorale della mia Sicilia proprio dei salvagenti appartenuti a navi in transito, però non mi risulta che quelle imbarcazioni fossero affondate...

Quindi, pochi pezzi e niente SOS. Eppure sette giorni dopo la scomparsa il comando del porto di Tunisi informò di aver ricevuto un messaggio nel quale l'equipaggio della Hedia diceva di trovarsi in difficoltà nei pressi di La Galite. Un'altra stranezza?
Esatto. Quello di Radio Tunisi è stato un vero e proprio depistaggio per rallentare le ricerche della nave. Ma non è stato l'unico! Il 27 marzo il Ministero della Marina Mercantile italiano rassicurò le famiglie dei marinai dicendo addirittura che la nave stava risalendo lentamente l’Adriatico. I parenti si precipitarono in porto per riabbracciare i loro cari, ma la Hedia non arrivò mai. Al telefono i funzionari del ministero dissero che si erano sbagliati. Sbagliati, hanno detto così, capisce? Questa storia è fatta proprio di troppe stranezze.

Come la protesta del Ministero della Guerra francese dopo l'uscita di un articolo sulla Hedia pubblicato da un quotidiano tunisino?
Un comportamento sorprendente! La Francia non avrebbe dovuto avere nessun ruolo nel naufragio. Che cosa poteva aver scritto quel giornale di così grave? Circolò l'ipotesi che il piroscafo fosse stato silurato per errore dalle unità della Marina Militare francese che sorvegliavano l'Algeria. In quel periodo infatti le coste occidentali del nord Africa erano pattugliate dalla Francia: era ancora in atto il conflitto franco-algerino e le armi arrivavano agli indipendentisti anche via mare. Ora può ben capire perché sentendo pronunciare la parola “guerra” dal nostro Presidente del Consiglio molte famiglie ne rimasero colpite.

E' dunque possibile che la Hedia sia finita fuori rotta a causa della tempesta e che sia stata scambiata per uno dei cargo-fantasma che rifornivano clandestinamente di armamenti il Front de Libertaion National algerino?
Sì, un attacco improvviso, e ciò spiegherebbe la mancanza di un SOS. Ma c'è anche un'altra ipotesi che personalmente ritengo più probabile e cioè che la nave sia stata catturata dai francesi.

Ci sono delle prove che confermino questa tesi?
All'epoca venne raccolta la testimonianza di un marinaio, Salvatore Rubino, imbarcato sulla nave SS African, il quale sostenne di aver appreso dalla radio di bordo della cattura della Hedia. Inoltre Romeo Cesca, padre di uno dei marinai, riuscì a far interessare alla vicenda un alto ufficiale della Marina italiana che gli confermò in via confidenziale che i marinai erano vivi e tenuti in una località segreta.

E' a questo punto che la sorte dei marinai dispersi sembrò intrecciarsi inaspettatamente con le vicende della sanguinosa guerra franco-algerina. Perché proprio dall'Algeria arrivò quella che alcuni dei parenti delle vittime considerarono la prova regina dell'esistenza in vita di alcuni dei marinai. Di cosa si tratta?
Eccola: è una telefoto scattata il 2 settembre 1962 e pubblicata in Italia dal Gazzettino di Venezia. Ritrae alcuni prigionieri appena liberati nel Consolato francese di Algeri.

Bene, ma cosa c'entra con i marinai scomparsi?
Glielo spiego subito. Vede quest'uomo in primo piano? E' mio zio Filippo.

Uno dei marinai scomparsi?
E' lui le dico! E non è l'unico membro dell'equipaggio della Heida ad assere stato riconosciuto in questo scatto. Per quanto riguarda la mia famiglia, mia nonna Rosa vedendo la foto non ha avuto alcun dubbio. Filippo Graffeo era suo figlio, com'è pensabile che si sia sbagliata? Guardi qui, la foto gliel'aveva spedita addirittura il direttore dell'Europeo e dietro c'è una dichiarazione autografa di mia nonna. Legga: “Questo in primo piano è mio figlio Filippo(...), desidero almeno una lettera in cui mi dice «mamma mi trovo qui»”.

Non è proprio possibile che sia sbagliata? Si parlò addirittura di psicosi collettiva...
Lo escludo e per dimostraglielo voglio mostrarle la comparazione di queste due foto pubblicate il 26 ottobre 1962 dal quotidiano Il Piccolo di Trieste: quello a destra del prigioniero è mio padre, ovvero il fratello del marinaio scomparso. Che dice? Sembrano fratelli o no? E legga anche il titolo del giornale: “Una rassomiglianza che lascia pochissimi dubbi”.

All'epoca la sua famiglia firmò il riconoscimento “senza possibilità di equivoci” di fronte ad un notaio. Oggi siete ancora convinti che in quella foto ci fosse proprio suo zio Filippo?
Mia nonna sì e noi nipoti, anche se abbiamo conosciuto zio Filippo solo attraverso le foto, lo siamo altrettanto. Da questa estate, quando la vicenda della Hedia è tornata alla ribalta grazie ad alcuni articoli pubblicati da giornali online, ci siamo dati molto da fare. Per fortuna nostra nonna gode ancora di ottima salute, quindi abbiamo appurato direttamente con lei tanti aspetti della vicenda. Nonostante l’età, 95 anni, ricorda tutto come se fosse ieri. Capirà che un figlio non si dimentica mai.

La prima e unica inchiesta giornalistica sulla Hedia si concluse nel 1963 con questo risultato: l'uomo fotografato ad Algeri era in realtà un barista francese di nome Pierre Cocco.
Un risultato discutibile. Le spiego cosa avvenne: un giornalista veneziano si recò in Algeria per effettuare le ricerche per conto della compagnia assicuratrice e ad Algeri alcune persone riconobbero nella telefoto pubblicata sul Gazzettino questo tale Pierre Cocco, un pied-noir fuggito a Marsiglia dopo la dichiarazione d'indipendenza dell'Algeria. Era la stessa foto in cui mia nonna aveva riconosciuto in precedenza suo figlio Filippo “senza possibilità di equivoci”. Assurdo...

“Vi sveliamo il mistero dell’equipaggio Hedia - Le speranze di ritrovare in vita i marinai sono perdute, i prigionieri nella telefoto erano tutti francesi”. Cosa la lascia perplesso in questa ricostruzione dei fatti?
Prima di tutto che il 14 settembre 1962 un quotidiano francese, il Depeche du Midi di Tolone, abbia titolato in prima pagina che “venticinque europei” era stati liberati ad Algeri: si parla quindi di europei non di francesi. Ma soprattutto non mi convince per nulla il fatto che il giornalista non abbia mai visto in faccia Pierre Cocco per poter fugare ogni dubbio sulla sua identità.

Le famiglie dei dispersi riuscirono invece nell'impresa di rintracciare il presunto sosia del marinaio Graffeo?
Certo. I parenti si diedero appuntamento nel maggio del 1963 a Ventimiglia per andare a cercare quell'uomo in Francia. C'era mia nonna Rosa, accompagnata da uno dei suoi figli, e c’erano altre 6 donne in rappresentanza delle famiglie di marinai. Non fu semplice ma dopo giorni di ricerche riuscirono a trovare Pierre Cocco ad Aubagne, una cittadina a pochi chilometri da Marsiglia.

Era proprio lui l'uomo del consolato di Algeri?
Assolutamente no! Cocco era un uomo decisamente più maturo di Filippo Graffeo. Poteva avere 35-40 anni, mentre mio zio ne aveva appena 22. Diciamo che gli somigliava un po', ma nulla di più.Oltretutto quando i parenti tentarono di avvicinarlo notarono che Cocco era particolarmente nervoso, voleva scappare via, come se sapesse qualcosa di questa storia. Chissà, forse non fu nient'altro che l’ennesimo depistaggio.

E' vero che ci fu chi sostenne di aver visto alcuni marinai della Hedia arruolati nella Legione Straniera?
Si è vero. Un italiano emigrato a Marsiglia, Salvatore Maniscalco, raccontò di aver riconosciuto Filippo Graffeo mentre scendeva da una nave militare vestito da legionario. I due si conoscevano, erano amici, difficile pensare ad un altro errore. Ma c'è di più. Mio zio Nino mi ha raccontato del colloquio avuto nel 1966 con un ex legionario. Questo combattente gli disse che il comandante del suo plotone era un ufficiale della motonave Hedia.

Un'altra ondata di psicosi collettiva?
Dopo tanti anni sono riuscito a rintracciare quest'ultimo signore. Oggi vive all'estero ma presto avrò l'occasione di avere un colloquio con lui. Spero che confermi le sue dichiarazioni e che mi possa fornire qualche indicazione per proseguire la mia ricerca.

Il ministero della Guerra, l'Algeria, la Legione Straniera: tutto porta alla Francia.
Proprio così. Purtroppo non è più in vita don Michele Arena, parroco di Sciacca, il quale si interessò molto alla vicenda Hedia. Don Michele fece da tramite tra un politico italiano, il dottor Fina della Democrazia Cristina, e un funzionario di un'autorità estera. Non sappiamo chi fosse, ma nel corso di una telefonata gli venne domandato se l'equipaggio della Hedia era stato fatto prigioniero. La risposta fu affermativa: non li avrebbero liberati se prima il governo italiano non avesse detto tutta la verità.

Quale verità?
Volevano sapere chi era il mittente del carico trasportato dalla nave. Insomma, volevano sapere se l'Italia era coinvolta in quel traffico, non alludendo certo ai fosfati.

Pensa che la Hedia trasportasse anche altro?
Chi può dirlo? C'era una guerra...

Armi?
Alcuni politici italiani dissero che la Hedia era una nave di contrabbandieri. Stiamo approfondendo la questione e per ora non vorrei dire di più.

Comunque sia, a parte pochissime interrogazioni parlamentari, nessun governo ha mai ritenuto di dover aprire un'inchiesta per chiarire quanto accaduto nei pressi di La Galite. Come mai questa indifferenza?
Forse un motivo c'era, basta solo scoprire quale. Noi familiari siamo certi che ci sia un mistero dietro la scomparsa della nave. Il governo di allora non ha fatto praticamente nulla per favorire le ricerche, giustificandosi col fatto che la Hedia, battendo bandiera liberiana, non era un'unità di competenza italiana. Come se la sorte di 19 nostri connazionali fosse un dettaglio irrilevante.

Quand'è stata l'ultima volta che il governo italiano si è interessato al vostro caso?
L'ultima interrogazione parlamentare venne presentata al ministro della Marina Mercantile nel 1965. Sa cosa disse il ministro? “Non si mancherà di svolgere ogni ulteriore indagine qualora dovessero emergere o essere segnalati nuovi concreti elementi”. Ecco, oggi vorrei dire che questi elementi ci sono. Occorre semplicemente capire cosa vuole fare l’Italia: Ustica insegna...

Ci sono altri parenti oltre a lei che stanno provando a scoprire la verità?
Sì, stiamo creando un bel gruppo di persone formato soprattutto dai nipoti di quei 19 marinai. Tutte persone che finora sapevano della scomparsa di un parente, ma poco o nulla sui particolari di questo giallo. Io ho scoperto tutto da fonti giornalistiche e negli ultimi mesi ho cercato di ristabilire i contatti con le altre famiglie dei dispersi. Con alcuni di loro ho lavorato duramente per provare a riaprire il caso, ma siamo ben consapevoli che la strada è in salita.

Già, vi renderete conto che sono passati cinquant'anni.
Certo oggi è forse impossibile pensare di trovare ancora qualcuno in vita, ma le autorità italiane e francesi dovrebbero avere almeno l’umiltà di venirci a raccontare come sono andate veramente le cose. Basterebbe questo per fare giustizia, ammesso che sia possibile.

Cosa vi preoccupa?
Abbiamo il sospetto che i documenti relativi a quel presunto naufragio siano coperti da segreto di stato. Comunque, non appena riusciremo a ricontattare tutte le famiglie dei dispersi, fonderemo un'associazione per provare a smuovere le istituzioni. Sarà difficile ma la nostra forza sono proprio loro, i marinai scomparsi, i cosiddetti “fantasmi della Hedia”.

Siamo arrivati in fondo a questa lunga intervista. Signor Graffeo, vuole dire ancora qualcosa?
Vorrei semplicemente ringraziare tutti coloro che ci stanno dando una mano nelle ricerche e in particolare Maree che ci ha dato l'opportunità di raccontare questa storia. Nel concludere vorrei fare un appello ai lettori: chiunque tra le autorità militari e civili sia a conoscenza di qualsiasi informazione sulla scomparsa della motonave Hedia si faccia avanti. Anche dopo mezzo secolo è giusto che venga finalmente alla luce la verità.


Massimiliano Ferraro - Torino

 

Il link: Gli spettri della Hedia sottochiave a Parigi

  

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