Data: 11/10/2013

Grandi navi a Venezia, costi e ricavi (ambientali)

Salvaguardia ambientale e valore economico delle crociere, obiettivi "difficilmente traguardabili". Il settore crocieristico e i dubbi sulla sua sostenibilità nell'intervista a Giuseppe Tattara, dipartimento Economia di Cà Foscari

Grandi navi a Venezia, costi e ricavi (ambientali)

"E' solo la punta dell’iceberg! Costi e ricavi del crocierismo a Venezia" è lo studio pubblicato da Giuseppe Tattara (Dipartimento di Economia dell’Università Cà Foscari di Venezia). Secondo la sua ricostruzione puntuale di costi e ricavi legati al traffico crocieristico, gli obiettivi di “salvaguardia ambientale e del valore economico delle crociere” - cari ad amministratori e ministri - sono difficilmente traguardabili con il solo spostamento del percorso. A Venezia, e in gran parte anche altrove, sono almeno due gli ordini di problemi apparentemente non considerati dai decisori, peculiarità del settore crocieristico che alimentano dubbi sulla sua “sostenibilità”. Si tratta delle “esternalità ambientali” delle crociere, che vanno ben oltre la (pur rilevante) dimensione spazio temporale dell’attraversamento del canale della Giudecca - con transito davanti a Piazza San Marco. E che non riguardano “solo” le emissioni in atmosfera, i danni agli edifici provocati dal movimento delle masse d’acqua in laguna, l’erosione del fondo lagunare e l’elevato rischio d’incidente in ragione delle dimensioni di questi “grattacieli galleggianti” rispetto ai canali della laguna. Inoltre, la particolare struttura organizzativa del settore crocieristico riduce il valore dei proventi derivante dal traffico delle crociere per l’economia del turismo della città di Venezia, anche a prescindere dalla contabilizzazione delle esternalità ambientali.

Il suo studio stima il valore del turismo crocieristico per Venezia nell’1,9% del PIL comunale mentre secondo Paolo Costa, presidente della Port Authority, la quota parte sarebbe del 3,26%... 

Costa ha stimato il valore delle crociere al 6% del PIL comunale a Febbraio, e al 3% qualche mese dopo, a Maggio, a causa di palesi errori nei calcoli contenuti in una prima versione di uno studio commissionato appunto dall’Autorità Portuale a quattro “esperti” delle università di Padova e Venezia. Le indagini economiche di cui disponiamo, relative ai ricavi che possono derivare dal crocierismo in quanto turismo, risalgono al 2005. Sono statisticamente molto deboli e sono influenzate dalla componente di turismo americano, quello più ricco, attualmente sostituito da quello asiatico e europeo che hanno una minore propensione di spesa. Se a questo aggiungiamo la costante riduzione dei prezzi delle crociere, possiamo confermare che il turismo crocieristico è diventato nel tempo più povero. Al proposito è utile rilevare che in una recente audizione comunale, la vicepresidente dell’associazione albergatori pone a 108€ la spesa dei crocieristi  in città, spesa che io pongo a 160/170€ e che lo studio già citato alzava a più di 200€ pro-capite. Ascoltiamo la vicepresidente degli albergatori, che probabilmente ha il polso della situazione meglio di tutti noi. Per parte mia ho ragione di credere che il contributo al PIL del 2% sia una buona stima.

Oltre alla spesa dei crocieristi, quali sono le voci che formano i ricavi del turismo crocieristico?

Gli oneri per l’attracco, che a Venezia sono pagati al Venezia Terminal Passeggeri che gestisce le crociere. Si tratta di una società privata, efficiente e profittevole, che registra utili a due cifre. Ci sono poi i rifornimenti delle navi. Per quest’ultimo aspetto, sebbene permanga l’idea che l’home-port – il luogo in cui le persone si imbarcano e sbarcano come accade a Venezia -  sia particolarmente redditizio, è ormai verificato che la differenza tra “home-port” e “porto di transito” è modesta, in ragione dell’efficienza delle compagnie nelle operazioni di carico e scarico dei rifornimenti. Le grandi compagnie infatti hanno i propri centri logistici a livello continentale e inviano le forniture alimentari a Venezia con i container; i combustibili sono forniti da società internazionali e le riparazioni spesso non sono fatte in cantieri di Venezia. L’indotto occupazionale è pertanto limitato, tanto è vero che gli occupati diretti, a Venezia, sono circa 1530, per lo più stagionali e precari. Comunque nulla di questi ricavi andrebbe perduto con una diversa collocazione del porto crocieristico, più lontano dalla città storica.

I ministri e il governatore della regione Veneto Zaia però intendono salvaguardare anche l’economia regionale

E’ vero che il Veneto, come la Liguria e altre regioni, ha un ruolo nella produzione degli approvvigionamenti per il settore crocieristico ma il fatto che la nave tocchi Venezia anziché ad esempio Trieste o Ravenna  - o un altro scalo a Venezia fuori dal centro storico - non inciderebbe su questo indotto. Ancora una volta si confondono i problemi, per evitare di affrontarli.  Scalare da un aeroporto entro un raggio di 35 km dalla destinazione finale è quanto già avviene, a Venezia, per buona parte del traffico aereo. Senza alcun problema.

Veniamo alle alternative e all’ipotesi di utilizzare il Canale di Contorta Sant’Angelo come percorso alternativo a quello della Giudecca. Sembra un’ipotesi piuttosto probabile, posto che è l’unica cui  è stato dato risalto dopo i recenti incontri ed è sostenuta sia dalla PA che dallo stesso Zaia. Secondo quanto si legge sul sito della PA si tratterebbe di un'occasione di recupero morfologico della Laguna Sud e di salvaguardia degli investimenti nell'area di Marittima, senza perdersi "la meraviglia". Qual è la sua opinione in proposito?

Il Canale Contorta è il peggiore dei mali. Ubicato in un tessuto estremamente fragile e delicato, si tratta di un canale di tre metri per due, che dovrebbe essere portato a 200 di larghezza per 12 di profondità.  Attualmente abbiamo un unico canale che collega l’entrata di Malamocco con la città - il canale Malamocco Marghera - che secondo studi effettuati dal prof. D’Alpaos, ingegnere idraulico, ha portato a un appiattimento del fondale della laguna sud e all’ aumento significativo del livello con cui le maree si fanno sentire a Marghera.  I canali portano in laguna il flusso di marea e il canale Contorta costituirebbe una bretella che lo condurrebbe direttamente in città. Oltretutto collegheremmo le due bocche di porto (Malamocca e Lido) con un canale interno che diventerebbe un braccio di mare che entra direttamente in città,  dopo che  già il Mose ha aumentato di molto la velocità della corrente sulle bocche di porto.

La PA deve recuperare gli investimenti fatti in Marittima e l’utilizzo del canale Contorta Sant’Angelo si spiega solo così. Richiederebbe tuttavia nuovi investimenti da parte dello Stato per un business prevalentemente privato.  La PA ha giurisdizione sul canale della Giudecca per una ragione storica, ma oggi la sua autonomia, anche economica, porta questo ente a perseguire interessi che non sempre combaciano con quelli della città di Venezia. Venezia è una delle poche città che continua a mantenere un porto-passeggeri di grandissime dimensioni (tra i maggiori di Europa) in città storica. Ci sono casi come Dubrovnick dove insieme al porto vecchio ne esiste uno nuovo usato per fini commerciali e turistici.

Quella del canale Sant’Angelo è una proposta, ma non è l’unica. Ci sono l’ipotesi del sindaco Giorgio Orsoni - che vorrebbe portare le grandi navi a Marghera lasciando la Marittima - e quella dell’ex viceministro delle Infrastrutture Cesare De Piccoli - che propone un nuovo terminal crocieristico a Punta Sabbioni, in Adriatico.  La realizzazione di un porto crocieristico offshore, come a Montecarlo, con l’uso di grandi cassoni galleggianti - portati in loco e affondati - rappresenterebbe anche un’opportunità per sperimentare una soluzione tecnologicamente innovativa che non andrebbe sottovalutata. Nel frattempo, la soluzione transitoria dovrebbe essere quella di Marghera. 

Quale potrebbe essere una soluzione economicamente sostenibile, rispettosa delle peculiarità della città e della laguna di Venezia e che permetta di continuare a vedere la “meraviglia”?  

Il settore delle crociere è segmentato. Le navi grandi rappresentano il mercato delle crociere diciamo low-cost mentre c’è un segmento di navi più piccole, gestito in parte dalle grandi compagnie crocieristiche e in parte autonomo. I “grandi yacht” – così sono chiamate le navi più piccole - ospitano 2/300 passeggeri e rappresentano un mercato più elitario - con prezzi anche di 10 volte superiori a quelli praticati dalle grandi navi - e sono caratterizzate da una maggiore capacità di spesa dei turisti. Su queste basi, che ben si coniugano con il caso di Venezia, sarebbe del tutto possibile provare una conseguente segmentazione degli approdi mantenendo in città storica il porto “per le navi di dimensione compatibile” con la laguna e considerando altre alternative ai confini della laguna per le “grandi navi”.

Potrebbe sembrare una soluzione “classista” o forse è solo più coerente con le dimensioni e la fragilità del sito e con la quantità di turisti che Venezia può reggere?

E’ una soluzione fondata sulla necessità di salvaguardare la città storica e consentire allo stesso tempo l’accesso a tutti, compatibilmente con le dimensioni del mezzo di trasporto scelto. Devono essere evitati rischi e danni alla città e alla sua popolazione. Dai dati disponibili anche in altri studi, i turisti che ogni anno visitano Venezia sono stimati in 24/30 milioni, mentre la capacità di carico turistico della città è stata stimata in 7,5 milioni all'anno come valore ottimale e 12 milioni all'anno come massimo inderogabile dallo stesso prof. Costa - prima di diventare presidente dell’Autorità Portuale. Già la presenza di 12 milioni di turisti significa che accanto a ogni residente in centro storico, vecchio o bambino che sia, c’è un turista, ogni giorno, per 8 mesi all’anno. A Venezia gli “escursionisti” delle crociere sono 600/700 mila l’anno, concentrati nei mesi estivi e nei fine settimana. Con sei grandi navi ormeggiate nei week end estivi abbiamo un flusso aggiuntivo di 30-40.000 persone che si imbarcano e sbarcano e che, come abbiamo visto, generano ricavi modesti mentre determinano un pesante carico socio-ambientale.

Veniamo alle esternalità ambientali. Oltre al rischio di incidente - sperimentato anche recentemente e su cui è intervenuto il ministro Orlando confermando la sua preoccupazione - quali sono gli impatti diretti sull’area della laguna nel tempo compreso tra l’avvicinamento e la ripartenza della nave? 

Quanto al recente rischio di incidente - l’ultimo di una serie - mentre l’Autorità marittima ha minimizzato l’accaduto fuori dai confini nazionali la notizia ha avuto forte rilevanza. Non è vero, com’è stato detto, che quando attraversano Venezia le navi percorrono un canale-binario dal quale non possono uscire. Basta guardare la carta batimetrica [che indica la profondità del canale, ndr] e si vede subito che una nave che pesca sette metri può sbattere sulle rive ovunque e una di nove metri quasi ovunque. Spinta a sei nodi, una nave impiega parecchie centinaia di metri prima di fermarsi, anche con l’aiuto dei rimorchiatori, e in caso di rottura dei comandi i due rimorchiatori sono in grado di fermarla solo dopo qualche chilometro. Il fondo morbido, fatto di sabbia e melma, non frena la nave.

Per quanto attiene gli impatti ambientali ricordo il problema del dislocamento. Le grandi navi dislocano ingenti masse liquide che incidono sulla stabilità delle rive. Le eliche sollevano sedimenti dal fondo dei canali - come si vede osservando spesso le scie marroni lasciate dalle navi al loro passaggio - e ciò determina l’erosione dei fondali in ragione della quantità di sedimenti che le correnti disperdono in mare. La laguna si sta trasformando in un braccio di mare senza alcuna protezione. La PA ha collocato telecamere per l’analisi delle onde superficiali dimostrando che sono maggiori quelle sollevate dai taxi e dalle imbarcazioni di trasporto rispetto alle onde sollevate dalle grandi navi. Per questo non erano necessarie le telecamere, bastano gli occhi. Servirebbe invece la misurazione degli spostamenti dell’acqua in sezione, dal fondo fino alla superficie, con l’utilizzo di appositi strumenti come l’“acoustic doppler current profilers”. Perché nessuno fa queste misurazioni, che sono la cosa più ovvia da fare?

C’è poi il problema delle vibrazioni e del rumore. Tutti gli abitanti di Santa Marta e delle rive della Giudecca sentono le case vibrare al passaggio delle grandi navi, che generano rumori superiori ai 120Db alla fonte, quando noi sappiamo che i danni alla salute si hanno già con emissioni sonore superiori a 55Db. Non sono mai stati studiati gli effetti delle onde radar. Infine c’è il problema delle emissioni delle polveri sottili nell’atmosfera, che ricadono sull’abitato del Comune di Venezia oltre che ovunque il vento le trasporti, anche nel raggio di un centinaio di chilometri. 

Le emissioni in atmosfera delle navi costituiscono un problema diffuso, comune a tutti i porti e all’intera pianura Padana. Un prodotto anche degli insediamenti industriali e del traffico automobilistico.

E’ vero, infatti le centraline ARPAV rilevano a Venezia un inquinamento simile a quello di terraferma e minimizzano così il fenomeno locale attribuendolo a quello generale. Tuttavia le emissioni devono essere valutate alla fonte per poterne individuare le cause. Secondo BlueWater una nave in porto inquina come 10.000 auto e lo studio Inemar del 2005 stima il contributo del porto all’inquinamento del comune di Venezia al  38% per il PM 2,5 e al  32% per il PM10. Secondo lo studio Apice - uno studio recentissimo sostenuto dalla Comunità Europea su alcuni importanti porti - le emissioni di PM2,5 primario in Comune di Venezia sono per il sarebbe del 31% attribuibili alla portualità (13% porto passeggeri), rappresentando questa la sorgente principale di emissione di polveri sottili. Né, secondo Apice, i progetti di alimentazione delle navi alla banchina (cold ironing) tanto sbandierati porteranno a una mitigazione significativa dell’inquinamento.

Quali sono invece le esternalità ambientali che si realizzano fuori dei confini del porto e della città? 

Bisogna intanto dire che le navi non sono soggette ad alcun controllo delle emissioni dai camini. A parità di combustione una tonnellata di olio combustibile bruciato in industria inquina 10 volte meno di una tonnellata di uguale combustibile bruciato da una nave. La frontiera nuova è che le grandi navi per risparmiare sulle operazioni di carico/scarico dei rifiuti di bordo si sono dotate di vere e proprie centrali di incenerimento dei rifiuti, senza tuttavia essere soggette a controlli paragonabili a quelli degli inceneritori di terra.  Durante la navigazione sono scaricate in mare acque nere nell’ordine dei 20/25 litri per passeggero. Sebbene le acque nere non trattate possano essere scaricate solo oltre le 12 miglia marine dalla riva e quelle trattate oltre le 3 miglia, il rispetto di questi limiti è affidato all’autocontrollo degli armatori e dei comandanti delle navi.  In mare finiscono anche rifiuti solidi organici e inorganici. Infine, si stima che una nave ferma in porto disperda l’equivalente di 1 Kg di vernice antivegetativa al giorno, che contiene metalli pesanti e componenti tossici. Nel 2011 le toccate delle navi passeggeri a Venezia sono state 650 e durante i week end abbiamo contemporaneamente 4-6 navi attraccate in Marittima, a ridosso delle case.
 

Daniela Patrucco - La Spezia

Link:

-  "E' solo la punta dell’iceberg! Costi e ricavi del crocierismo a Venezia" di Giuseppe Tattara  (studio in pdf)

Crociere: costano poco e generano grandi profitti. Chi paga? (Scienzainrete.it)

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