Data: 08/02/2013
 

I Signori della Green Economy

Come può una azienda promuovere sul mercato la sua immagine "verdee contemporaneamente gestire centrali a carbone o sperimentare il fracking per l'estrazione del gas? Intervista ad Alberto Zoratti e Monica Di Sisto

I Signori della Green Economy

"Nella storia abbiamo incontrato tante economie, da quella di guerra a quella finanziaria, ma tutte hanno costantemente rimosso la problematica legata all'essere umano che rimane troppo spesso solo un costo anche quando viene chiamato risorsa. Gli autori di questo libro propongono un focus su una tra le più recenti delle definizioni dell'economia, la green, quella verde". E' con questa frase, secca e diretta, estrapolata dalla presentazione di Maurizio Landini, segretario generale della Fiom, che voglio introdurre questa "doppia" intervista a Monica Di Sisto e Alberto Zoratti - dell’Associazione Fairwatch, da anni impegnati sul tema della sostenibilità e della giustizia ambientale e sociale - autori del libro "I Signori della Green Economy. Neocapitalismo tinto di verde e Movimenti glocali di resistenza" edito da Emi.

Il libro (introdotto dal segretario generale della Fiom Landini e dal coordinatore nazionale di Legambiente Maurizio Gubbiotti) "apre" una finestra sui quattro elementi naturali (acqua, aria/clima, terra e fuoco/energia) con l’obiettivo di svelare le strategie e gli appetiti dei “signori della Green economy”, quelle imprese che vedono nella sostenibilità il nuovo business da cui estrarre valore. Un futuro senza speranza? In verità - avvertono gli autori - ci sono migliaia di esperienze, sperimentazioni, pratiche locali, ecologiche e solidali che come i piccoli mammiferi prima del Cretaceo, il crepuscolo dei dinosauri, occupano nicchie ecologiche e sociali consolidandosi, in attesa che la transizione, da riflessione teorica, diventi concreta realtà.


Si fa presto a dire Green Economy, in questa improvvisata campagna elettorale è un brand "appuntato" in ogni agenda di partito o coalizione che sia. Nei fatti, nessun piano strategico, nessun programma degno di un Paese ecodisastrato. In questo quadro cos'è oggi in Italia l'economia verde?
Alberto Zoratti - L'unica strategia messa in campo in questi anni da una politica che diremmo bipartisan è la bozza di Strategia Energetica Nazionale, in cui si sente, eccome, l'influsso di colossi dell'economia fossile come Enel ed Eni. Dà il quadro dello sviluppo del Paese da qui al 2020 e a farla da padrone, neanche a dirlo, il gas ed il petrolio, con un'attenzione particolare a nuove trivellazioni. In tutto questo cosa c'entra la Green economy? C'entra perchè gli stessi protagonisti di uno sviluppo insostenibile stanno diventando i principali promotori di un'economia "verde" in cui il Green marketing sta assumendo un ruolo preponderante. Dal nostro lavoro emerge come le politiche di Enel, di Eni ma anche di altri soggetti come Sorgenia, British Petroleum o Shell siano tutte orientate ad una comunicazione "sostenibile ed etica", dietro la quale però si nascondono le strategie di sempre. Esistono però nel mondo, e anche nel nostro Paese, esperienze reali, concrete di economia ecologica e solidale. Stanno lentamente uscendo dalla nicchia, si aprono "ai grandi numeri", ma chiedono un approccio olistico ed estremamente coerente alla questione della sostenibilità ambientale e sociale. Dopotutto, come può un'impresa come Sorgenia far convivere la propria promozione Green con il fatto che gestisce, all'interno di Tirreno Power, centrali a carbone in giro per il nostro Paese o che sperimenta, in Polonia, il gas fracking come ultima frontiera del gas non convenzionale?


Come siete aprodati a questa mappa del Green Affaire?
Monica Di Sisto - Facendo sistema del lavoro che da anni stiamo portando avanti. Monitorare i negoziati dell'Organizzazione Mondiale del Commercio o quelli della Conferenza delle Parti Onu sul Clima e, dall'altra parte, essere direttamente coinvolti dall'interno dei movimenti sociali nella crescita di un'economia ecologica e solidale, ci ha permesso di avere un punto di posizione privilegiato sun un tema così complesso. Il libro è un riflettore puntato, una finestra aperta sugli imbrogli della Green economy, sui rischi che si porta dietro, ma parla anche di una speranza che sta crescendo nelle nicchie ecologiche lasciate ancora vuote dalle multinazionali e dagli speculatori finanziari.

Piccoli e grandi avventurieri dipinti di verde. 
Come si "muovono" i signori della Green Economy
A. Z. - Sono le grandi imprese, le multiutilities, i piccoli avventurieri privati che vedono nell'ambiente e nei beni comuni non tanto un patrimonio da tutelare quanto una cassaforte da sbancare. Dopo aver estratto valore fino allo sfinimento dal mondo del lavoro, la finanza ed i mercati in cerca di nuove opportunità di investimento si stanno dirigendo in massa verso beni comuni come l'acqua, l'energia, la terra, persino il carbonio. Se tutto è merce, tutto può portare profitto, in particolare a chi, per privilegio o per forzatura, è arrivato a controllare i punti nodali della produzione o della distribuzione di questi beni. E' la nuova faccia che sta assumendo la distribuzione verso l'alto delle risorse, quella grande operazione di rapina che da quasi 40 anni a questa parte sta veicolando verso un'infima minoranza del pianeta, ricchezze e benessere. A svantaggio non solo dei più, ma del futuro di tutti. Controllano il consenso e l'immaginario collettivo grazie a imponenti campagne di marketing, sedendo ai tavoli che contano facendo pesare il proprio peso economico, modificando e condizionando leggi a loro piacimento, perchè l'interazione tra decisori politici ed interessi privati sta diventando via via sempre più metastatica. E' un livello di negoziazione e di lobby politica che non è trasparente, sfugge ai più, ma che è capace di condizionare in modo strutturale le politiche di interi Governi.

Quali sono i loro "pilastri d'appoggio", in politica e nelle istituzioni?
M.D.S. - Più che "pilastri di appoggio" bisognerebbe parlare di piattaforme di scambio. Dalle porte girevoli, grazie alle quali grandi capitani d'industria o eminenti amministratori delegati diventano ministri, sottosegretari o commissari europei e viceversa (il film Inside Job sulla crisi economica in atto è molto chiaro ed efficace sul tema) per arrivare al ruolo sulla redazione delle norme di consulenti accademici e non, a volte prezzolati dalle stesse imprese. Queste piattaforme a volte hanno il profilo di grandi istituzioni formali, come l'Organizzazione Mondiale del Commercio o il DG Trade dell'Unione Europea, dove ministri e commissari si incontrano con le lobby delle grandi imprese, o informali come il Transatlantic Business Dialogue o il World Economic Forum, spazi dedicati alla lobbying economica e finanziaria.

Quali strumenti si possono mettere in campo per cambiare rotta?
A.Z - Fondamentalmente tre: la conoscenza, la consapevolezza e la partecipazione attiva. Il libro prova a attraversare tutti e tre questi fattori. Per i primi due fornendo dati, informazioni, link e riferimenti utili ad approfondire. Per l'ultima aprendo una finestra sui movimenti più innovativi ma anche più coinvolgenti. Sono le reti dell'economia solidale ed ecologica, ma anche i movimenti di lotta in Argentina che contro la crisi hanno occupato e recuperato fabbriche ed imprese. La messa a sistema di uno stile di vita coerente, caratterizzato da un'impronta ecologica e sociale ridotta, con una partecipazione in realtà collettive (come i Gruppi di acquisto o i Distretti di Economia solidale) sono un primo passo sostanziale. Ma quello successivo è la messa in rete di queste realtà con altre simili e complementari, all'interno di soggetti informali come sono i movimenti sociali. Questo perchè solo un'azione collettiva può portare ad avere una forza d'impatto capace di condizionare le regole, il Forum per l'Acqua o quello contro il nucleare ed i referendum corrispondenti sono un esempio, ma anche di denunciare gli imbrogli e di assumere il conflitto sociale come parte della lotta politica. La transizione verso una società ecologica e più equa non sarà una passeggiata, e presuppone alto senso di responsabilità e, soprattutto, una grande consapevolezza. Ma non abbiamo scelta.

A dispetto di governi che, quando pensano a misure di sviluppo, continuano a riproporre ricette del passato come le grandi opere pubbliche e infrastrutture impattanti - come ricorda Maurizio Gubbiotti, nel presentare questo vostro lavoro. Quali sono i danni di una politica che non governa il territorio e l'ambiente come bene comune?
A.Z. - Danni sociali ed umani, in primis. E poi danni economici. Basti pensare al dissesto idrogeologico in Italia e al ruolo che sta avendo il cambiamento climatico, con i suoi eventi estremi, nell'aumentare il rischio di alluvioni e quindi, di vittime come accade oramai ogni anno nel nostro Paese. Con un costo per le tasche dei contribuenti che tocca i miliardi di euro. Ma in più c'è un problema di lungo periodo: quale pianeta e quale Paese stiamo lasciando ai nostri figli? Con quale responsabilità stiamo cementificando, trivellando, privatizzando dei beni che dovrebbero essere tutelati, anche per rispetto dei diritti delle generazioni che verranno?

Sabrina Deligia - Roma


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