Data: 05/10/2012
 

Ponte sullo Stretto, un fantasma succhia soldi

Un progetto senza opera, gestito da un sistema d'imprese senza lavoratori, che sub-appaltano gli interventi a terra, una manna per studi di progettazione e consigli d'amministrazione. Tutto è ancora in piedi. Nonostante Clini

Ponte sullo Stretto, un fantasma succhia soldi

C'è voluto l'intervento del ministro dell'ambiente Corrado Clini per stoppare le voci insistenti di un ritorno in auge del Ponte sullo stretto di Messina, nonostante il  definanziamento dell'opera - per 1,6miliardi – deciso dal governo Monti in occasione  della riunione del CIPE ( Comitato Interministeriale per la programmazione Economica) svolta lo scorso 20 gennaio. Una nota del ministero diffusa il 30 settembre chiarisce che “Non c'è alcuna intenzione di riaprire il discorso sul ponte sullo stretto di Messina al contrario, il governo vuole chiudere il prima possibile le procedure aperte anni fa dai precedenti governi, e per farlo deve seguire l'iter di legge".
Precisazione doverosa quella del ministro, dal momento che per tutta la prima parte di quest'anno si erano accavallate - a proposito del Ponte - notizie inquietanti  e contraddittorie. Nonostante la Commissione europea avesse depennato, nell'ottobre del 2011, l'attraversamento stabile dello Stretto di Messina dal piano di investimenti  per le trenta opere prioritarie fino al 2020,  il 16 luglio 2012  il Ministero dell’Ambiente ha riattivato la commissione per la Via (Valutazione d’Impatto Ambientale) per il Ponte e il 27 settembre scorso il dicastero retto da Corrado Passera (Infrastrutture e Trasporti) ha aperto la Conferenza dei servizi (l’unico organismo in grado di dare tutte le autorizzazioni per questa grande opera).
Tanto attivismo è dovuto all'immediata presa di posizione dell'amministratore delegato dell'Anas  e presidente della Stretto di Messina, Pietro Ciucci, che - all'inizio dell'estate del 2012 - ha annunciato un ricorso straordinario a Napolitano contro la decisione del Cipe, considerata illegittima perché avrebbe lasciato la società priva di risorse e dunque incapace di rispettare i contratti firmati con lo Stato e che nessuno ha ancora abrogato.
“Ma noi il ponte non l'abbiamo mai visto sparire” commenta Gino Sturniolo, attivista storico della Rete NoPonte di Messina. “Abbiamo sempre descritto il Mostro sullo Stretto come un collettore di soldi pubblici verso cricche pubbliche e private. Esso - infatti - è il paradigma della mega infrastruttura, un progetto senza opera, gestito da un sistema d'imprese senza lavoratori, che sub-appaltano gli interventi a terra, arricchendo contractor del Nord e impoverendo le imprese locali, una manna per studi di progettazione e consigli d'amministrazione. Nulla più”.
A sostegno delle parole di Sturniolo non mancano i fatti.
Nell'estate del 2010 furono aperti gli unici veri cantieri del Ponte nel territorio del comune di Messina. Quelli per i sondaggi geognostici finalizzati alla realizzazione del progetto definitivo. I lavori furono affidati dal Contraente generale, Eurolink spa, alle imprese RCT srl di Peschiera Borromeo (Milano) e Sondedile di Teramo, mentre la nave "Coopernaut Franca", di proprietà della Cooperativa Nautilus di Vibo Valentia, effettuò rilievi per una decina di giorni nelle acque dello Stretto di Messina.
Tutte le  attività  di monitoraggio ambientale e geologico furono perciò  curate  da un  raggruppamento temporaneo di imprese guidato da Fenice spa, di cui fecero  parte - insieme alla Coop Nautilus - le società Agriconsulting spa, Eurisko Nopworld srl e Theolab srl e costarono ben 29 milioni di euro.  Tutte società “di fuori” che impiegarono 125 lavoratori, di cui  solo 5 erano messinesi, mentre i soli 15 direttamente dipendenti da Eurolink sono stati licenziati immediatamente dopo la chiusura dei cantieri.
L'operazione Ponte sullo stretto, perciò, contraddice fin nelle  sue prime concrete battute le mirabolanti promesse di sviluppo e buona occupazione con cui le classi dirigenti nazionali e locali lo hanno promosso nei quarant'anni e più della sua esistenza in vita.
Dal 1971, anno di nascita della Società Stretto di Messina, secondo i dati della medesima, è stata spesa una cifra pari a  circa 270 milioni di euro - in realtà 400, secondo stime di autorevoli analisti - per fare cosa? Un progetto di massima per un ponte sospeso lungo 3.300 metri, dotato di sei corsie stradali e due binari ferroviari. Tenuto in piedi da due torri alte poco più di 382 metri  mediante quattro cavi d'acciaio dal diametro di circa in metro e 24 centimetri ciascuno. Basterebbe questa immagine ad evocare un impatto devastante sul territorio dello stretto, che è  densamente popolato, ad elevato rischio sismico e ferito da frane e  ricorrenti gravi alluvioni. Se al manufatto in quanto tale si aggiungono poi  le opere a terra, ferroviarie e stradali, (complessivamente  circa 20,6 km in galleria, 2 km su viadotto  e 3,1 km a terra), le sette discariche che dovrebbero ospitare i circa 8 milioni di metri cubi di inerti prodotti dai cantieri e le altre opere cosiddette “compensative” (nuove stazioni ferroviarie etc) nonché le dimensioni degli stessi cantieri, si comprenderà il profondo stravolgimento che il Ponte potrebbe causare a Messina e Reggio.
Le puntuali osservazioni al progetto preliminare  dei tecnici di Legambiente, Wwf e Italia Nostra, redatte nel 2003, evidenziano il “degrado di importanti ecosistemi  e il dissesto di importanti apparati paesistici”, nonché la “sottovalutazione degli ecosistemi di pregio presenti nello Stretto e la sottovalutazione degli impatti dei cantieri  e degli aspetti legati alla sicurezza del territorio”.
Forti dubbi suscitano anche la stessa fattibilità tecnica dell'opera  e la sua reale redditività. Quest'ultima è legata a previsioni di traffico legate alla crescita attesa nel Mezzogiorno, che - nell'ipotesi peggiore prevista dai progettisti della Stretto di Messina -  si sarebbe dovuta attestare intorno all'1,8 %. Peccato che nel periodo 2000-2009, il Sud abbia avuto un tasso di crescita del Pil pari allo 0,5% (il 27% in meno di quanto previsto dai fautori dell'opera). Quanto alla fattibilità, valga per tutte l'opinione dell'ingegner Remo Calzona, noto docente di Scienza delle costruzioni ed ex progettista del ponte, secondo cui l'attuale progetto, a causa della campata troppo lunga, andrebbe incontro a fenomeni di “sventolio” e “galoppo”, ovvero sarebbe fortemente instabile.
Tutto questo a fronte di benefici pressoché nulli per una popolazione sofferente , oltre che per gli effetti della crisi , per le storiche condizioni di sottosviluppo dell'area. Dopo avere sbandierato per anni la cifra di 40000 posti di lavoro, Eurolink è stata costretta a riconoscere che gli occupati nella costruzione del Ponte sullo Stretto   non saranno  più di 4500. Di questi molti verranno da fuori, mancando in Sicilia  e Calabria  le specializzazioni necessarie. Si prevede inoltre  la perdita di oltre1000 posti di lavoro nella navigazione, mentre l’occupazione stabile ad opera ultimata non dovrebbe superare le 220 unità. 
Ma perché, negli anni, tutta quest' ostinazione a perseguire un disegno tanto improbabile?
“I meccanismi previsti dalla legge obiettivo per le grandi opere - spiega Gino Sturniolo - sono analoghi a quelli messi in moto dalla gestione delle emergenze. Concentrazione delle risorse da spendere, verticalizzazione delle decisioni, assoluta assenza di potere decisionale dei territori, associati all`interessamento di solo pochi grossi contractor che si spartiscono gli investimenti . Un quadro in cui alle amministrazioni locali non rimane altro che candidarsi a fruire di flussi di denaro e, magari, attraverso il meccanismo della compensazione del danno, poter “grattare` qualche strada, svincolo, porticciolo, giardino da tempo progettati e mai realizzati per carenza di fondi. Tutto ciò, naturalmente, sulla testa dei cittadini, sempre col cappello in mano, quasi prostituendo il proprio territorio".
“Il ponte ha un grande valore simbolico perché è un vero emblema del glocal - aggiunge Antonio Mazzeo, autore del fortunato saggio I padrini del Ponte - Un modello cioè tipico dei rapporti economici e sociali nell’era della globalizzazione liberista. Contemporaneamente crea e ristruttura le economie e le gerarchie sociali a livello locale. Ha bisogno del consenso e lo genera”. Per questo anche Cosa Nostra ha messo gli occhi addosso all'operazione. “Le cosche calabresi e messinesi - prosegue Mazzeo - puntano ad intercettare gli investimenti che si riverserebbero nell’area dello Stretto. L’inchiesta Brooklyn sul tentativo d’infiltrazione della mafia italo-canadese ha evidenziato l’interesse di alcuni settori criminali di entrare nell’affare come soci finanziatori”. Scenari inquietanti che le ultime mosse del governo Monti sembrano allontanare definitivamente. Il movimento che si è battuto per un decennio contro il “mostro dello Stretto” però non abbassa la guardia. “C'è ancora molto da fare a Messina e Reggio - scrivono - a partire dalla messa in sicurezza del territorio dal rischio sismico e idrogeologico e dalla modernizzazione dei trasporti".
Si batteranno contro gli sprechi ulteriori delle poche risorse pubbliche disponibili e per la rescissione dei contratti senza il pagamento di penali considerate assurde visto che non si è mai aperto un vero cantiere. Sarà una lotta per salvare un pezzo di Italia famoso per la sua bellezza ma, soprattutto, per la qualità della vita dei suoi abitanti.

Tonino Cafeo - Messina

 

 

 

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