Data: 04/06/2014

L'uomo che voleva sollevare Venezia (e il Pd)

All'ombra del Mose, nella rete della Procura, in questo quattro di giugno, è finito il pesce più prelibato, Giorgio Orsoni. Una retata dal sapore antico, da Prima Repubblica: politici, imprenditori, faccendieri, magistrati, generali della Finanza

L'uomo che voleva sollevare Venezia (e il Pd)

Presi! I pesci che nuotavano, contando le mazzette, fra le paratie del Mose, il modulo sperimentale elettromeccanico per la difesa di Venezia e della laguna dall'acqua alta, sono finiti nella rete della Procura veneziana. Ci sono tutti, agli arresti, politici, imprenditori, faccendieri, magistrati della Corte dei Conti e delle Acque, ex generali della Guardia di Finanza. Nella rete è finito il pesce più prelibato, Giorgio Orsoni, sindaco di Venezia, della premiata pescheria del Nazareno, sede di quel Partito Democratico cui, se il colpo fosse stato assestato prima delle Europee, avrebbe avuto di che traballare, sgretolando la vanagloria del signore di Firenze, che oggi siede, abusivo, a Palazzo Chigi.

Gli elettori del Partito Democratico, pasciuti a slogan, bendati ad arte perché non vedano, chissà se avranno il coraggio di ammettere noi che a ogni elezione tiriamo fuori i cadaveri dalle tombe, attaccandoci alle loro tibie, vantandoci della nostra alta moralità, davvero abbiamo sbagliato tutto.

E forse Orsoni, questo pingue veneziano, ordinario di Diritto Amministrativo alla Ca' Foscari, con le mani in pasta ovunque e dove possibile, sarebbe diventato ministro della Repubblica se solo Pierluigi Bersani, ubriacato dalla vittoria delle primarie, fosse arrivato a Palazzo Chigi.

"Bersani pensa a Moretti, Zanonato e Orsoni per la squadra di governo", titolava il Corriere del Veneto il 4 dicembre 2012, ricordando come il nome di Orsoni, eletto sindaco nel 2010, circolasse a Venezia con una certa insistenza, ma come lui, rampante "leader delle città metropolitane", ancora oggi difeso dal sindaco di Torino, Piero Fassino, non intendesse mollare lo "scranno in municipio". E perché mai avrebbe dovuto, il buon Orsoni, lui che durante la campagna elettorale, questa l'accusa rivoltagli, s'era semplicemente preoccupato di intascare finanziamenti illeciti, quindi rimestando con allegria nel malaffare del paiolo veneziano?

Massimo Cacciari, l'ex sindaco di Venezia, già della corte di Don Verzé e che oggi prende le distanze dalla melma salita dalla laguna, nel 2009 ne parlava come del candidato giusto. Quando Orsoni si candidò, Venezia fu luogo di pellegrinaggio. Tutti al cospetto del futuro sindaco: Massimo D'Alema, Pier Ferdinando Casini, Pierluigi Bersani. Tutti a passeggiare fra calli, vongole e mercatini, spandendo sorrisi, regalando abbracci. Ah, la moralità del Partito Democratico, la sponda uddiccina, che dove sente odore di affari, intrecci, è là, paniere in mano, pronta a raccogliere anche le briciole sputate dal peggiore dei faccendieri.

Bersani voleva smacchiare il giaguaro; il suo uomo in laguna, come ricorda un vecchio spot elettorale, sollevare Venezia. Chissà, forse adagiandola sulla montagna di banconote entrate nelle sue tasche in puro stile Partito Democratico: anch'io rubo, ma rubo elegantemente, perché il mio rubare è diverso. Morale.

Stefania Elena Carnemolla - Montenegro


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