Data: 22/02/2013
 

La ricerca salverà lo squalo bianco?

Un progetto per cercare finalmente di mappare e studiare le rotte migratorie del Carcharodon carcharias. Obbiettivi e polemiche sul lavoro dei ricercatori: dalla cattura all'applicazione di un trasmettitore sulla pinna dorsale

La ricerca salverà lo squalo bianco?

“...Ci sono delle zone del Mediterraneo che non sono particolarmente frequentate dai pescherecci, tra Malta, Lampedusa e Misurata, perché la pesca è fatta soprattutto di selaci, cioè di specie predatrici. Ecco, accade che i pescatori sostengono che se fossero aiutati a pescare “in perdita”, cioè a sfoltire questa massa di predatori di scarso valore commerciale, poi potrebbero pescare “in guadagno” perché prenderebbero il sopravvento le specie predate. Se sono mai stati presi dei Carcharodon carcarias? Si, abbastanza spesso, soprattutto dai pescherecci che impiegano i palangari, particolari lenze da pesca".
Queste dichiarazioni del dottor Dino Levi risalgono al 1990, rilasciate ai tempi in cui era direttore dell'Istituto tecnologico della pesca di Mazara del Vallo, e confermano, semmai ce ne fosse ancora bisogno, la presenza dello squalo bianco anche nei nostri mari da sempre. Una presenza che, sporadicamente, si registra tuttora nonostante la strage subita da questo super predatore nel corso dei decenni. Pescare “in perdita” per poi, sterminati i predatori, pescare “in guadagno”, sembra incredibile ma è  la stessa teoria strampalata grazie alla quale si è cercato di legittimare anche la caccia alle balene in tutto il pianeta.

Dove si trovano gli squali bianchi
Le “tecniche” di pesca adottate nel nostro Mediterraneo e non solo, a quei tempi, unite alla ben nota ricerca di pinne di squalo, il cosiddetto finning, ne hanno fatto una specie ad altissimo rischio di estinzione.
Oggi non sono molti i luoghi dove è possibile incontrare uno squalo bianco, Australia, Messico, California, offrono questa possibilità ma se c'è un Paese che è ormai una specie di santuario per questi animali, questo è il Sudafrica. Qui, infatti, la presenza dei White Pointers, come vengono chiamati dai sudafricani, è praticamente costante per quasi tutto l'anno. Dal Capo di Buona Speranza, nella False Bay a due passi da Cape Town, passando per Gansbaai fino ad arrivare a Mossel Bay ed ancora oltre, in pieno Oceano Indiano, gli squali pattugliano le acque alla ricerca del loro pasto preferito, cuccioli di Otarie Orsine.

Il periodo migliore per avvistare lo squalo bianco in queste acque va da maggio a settembre. Come fosse una stagione dello squalo bianco gli animali si radunano nelle principali località costiere in cerca di cibo. Le Seal Island della False Bay, a poche miglia da Simon's Town e di Mossel Bay, così come Dyer Island nei pressi di Kleinbaai, diventano siti imperdibili per poter osservare le straordinarie tecniche di caccia adottate dagli squali che, in diversi casi, spingono gli animali ad uscire completamente fuori dall'acqua con dei salti spettacolari per predare le velocissime otarie. Poi, con la “stagione degli squali bianchi”  al termine, così come sono arrivati, i predatori iniziano a lasciare le ricche acque sudafricane con il pieno del grasso accumulato nella caccia.

Rotte migratorie

“Sappiamo che gli squali bianchi migrano regolarmente, ad esempio tra l'Australia ed il Sudafrica, migrazioni confermate anche da Pardini su Nature, nel 2001, e da Bonfil su Science, nel 2005, ma non sappiamo con quale frequenza lo facciano, né le rotte che seguono". Il direttore scientifico dell'Oceans Research, Centro di Ricerca dei grandi predatori marini del Sudafrica, dottor Enrico Gennari, studia e lavora con gli squali bianchi da tantissimi anni. Nonostante la giovane età è divenuto un punto di riferimento per studiosi ed appassionati del mondo marino grazie all'esperienza svolta sul campo alla guida dell'istituto di ricerca di Mossel Bay.
Dove vadano gli squali bianchi, una volta lasciato il paese africano è, uno degli interrogativi che più stanno a cuore a Gennari, come a tanti naturalisti e studiosi che si adoperano per proteggere questi predatori così importanti per la vita stessa degli oceani.

“Lo squalo bianco, prosegue Gennari, è protetto in Sudafrica sin dal 1991. Al di fuori delle nostre acque, però, corre il rischio di essere catturato ed ucciso, praticamente da chiunque. Da anni, quotidianamente, usciamo in mare anche di notte per seguire fisicamente i “nostri” squali bianchi,  ai quali siamo riusciti ad installare ricevitori in grado di rilasciare segnali che ci permettono di seguirli negli spostamenti. Sono apparecchiature che danno certamente dei risultati interessanti ma che impediscono il monitoraggio a lungo termine e a grandi distanze. Per questo, da diverse stagioni, stavamo pensando a qualcosa di diverso e tecnologicamente avanzato che ci potesse permettere di seguire lo squalo più a lungo, per miglia e miglia. Dare risposte alle domande “dove vanno gli squali bianchi? Dove si accoppiano? Dove partoriscono?”, era ormai una priorità se si voleva trovare il modo di salvaguardare la specie prima che fosse troppo tardi.”

I tempi della ricerca, soprattutto quando si parla di animali a forte rischio di estinzione, come in questo caso, sarebbero dovuti essere il più possibile brevi e nel contempo, cominciare a dare dati e risultati presto.
“Il nostro Mediterraneo, dice Gennari, era popolato da tanti esemplari di squali, anche squali bianchi,che inseguivano i tonni che poi finivano nelle “camere della morte” dei pescatori. Oggi, incontrare uno squalo bianco nel Mare Nostrum è un evento eccezionale. Abbiamo solo indizi sui loro luoghi di riproduzione e le catture che, ormai rare, continuano anche ad opera di paesi come la Tunisia, ad esempio, ci raccontano di femmine in età adulta uccise per niente. Un danno incalcolabile per la popolazione di questi animali che fanno fatica a riprodursi. Ecco uno dei motivi per i quali era importante cominciare a lavorare in Sudafrica, ora". 

Collaborazione internazionale
Circa un anno fa, Gennari, ricevette una mail da Chris Fischer (Ceo di Ocearch) nella quale, tra l'altro, chiedeva se l'istituto, conosciuto grazie a una serie di documentari su alcuni tra i più noti canali televisivi, fosse interessato a collaborare per posizionare tag satellitari sugli squali bianchi, partecipando alla ripartizione dei fondi.
Sui i metodi adottati dai ricercatori di Ocearch, sono state espresse dure critiche: squali presi all'amo, seppur modificato, catturati per poter inserire un ricevitore satellitare sulla pinna dorsale tramite buchi fatti con un trapano.

"Conoscevamo Chris di nome, dice a riguardo Gennari, e sapevamo che questo tipo di attività avrebbe potuto creare qualche resistenza nell'ambiente che orbita intorno al mondo dello squalo bianco, con riferimento al fatto che le precedenti serie televisive che riguardavano Ocearch e la delicata operazione per taggare gli squali, potevano apparire come uno 'spettacolo' adrenalinico ad uso e consumo di media e telespettatori".

"Decidemmo di estendere l'offerta di Chris a tutti i ricercatori sudafricani ed internazionali con i quali collaboriamo, fino ad arrivare al coinvolgimento del Governo sudafricano. Volevamo un progetto ad ampio raggio per ottenere risultati concreti non solo per la ricerca ma anche per la conservazione della specie".

La neonata collaborazione tra la Ocearch di Chris Fischer e Oceans Research di Enrico Gennari è quindi diventato il progetto di ricerca sugli squali bianchi più grande del mondo. Oltre 40 ricercatori specializzati avevano deciso di mettere da parte i propri interessi particolari e di collaborare al fine di migliorare la conoscenza dello squalo bianco. Università sudafricane, inglesi ed americane hanno preso parte all'operazione per svelare tanti misteri che ancora oggi circondano i grandi squali. “Non ci fu nessuna obiezione etica da parte di nessuna università o ente governativo, sottolinea Gennari. Una migliore conoscenza delle rotte migratorie favorirebbe la protezione a livello internazionale che è necessaria per la salvaguardia dei predatori".

Cattura, controllo e "taggatura" degli squali
Già, ma per installare il famoso tag satellitare sulla pinna di uno squalo bianco di oltre tre metri bisogna prenderlo. “Sapevamo che molte critiche rivolte a questo tipo di progetti erano provocate dallo stress cui gli animali vengono esposti. Per questo, durante le operazioni che venivano svolte con l'animale “a bordo”, venivano presi dei campioni di sangue così da determinare l'indice di stress dei soggetti rispetto a quelli “a riposo”. Inoltre abbiamo sviluppato diversi accorgimenti per minimizzare lo stress".

La cattura dello squalo è stato certamente uno dei momenti più delicati e difficili. “Diversamente dalle stagioni precedenti", osserva ancora Gennari, "ci eravamo dotati di un amo circolare modificato per ridurre al minimo il rischio di ferite da parte dello squalo che, una volta stancato - operazione necessaria quando si tratta di squali bianchi (per l'incolumità sia dell'animale che dei ricercatori) -  veniva sollevato tramite una piattaforma idraulica, fuori dall'acqua. A quel punto, messo l'esemplare in condizione di respirare con l'ausilio di un tubo che pompa acqua di mare in bocca, e dopo aver coperto gli occhi dello squalo, come si fa per i coccodrilli, si iniziavano le operazioni di controllo partendo  dallo stato di salute generale. Un'attività non priva di rischi, anche dati i tempi strettissimi per le operazioni da svolgere in contemporanea, così da rilasciare lo squalo in acqua al più presto.

“Esattamente, la nostra priorità era ed è la vita dell'esemplare. Mentre due persone si occupavano di fissare il tag satellitare nel punto più alto della pinna dorsale, così da permettere la ricezione del segnale al satellite, un veterinario esperto somministrava antibiotici ed integratori allo squalo. Venivano poi effettuate analisi del sangue e l'inserimento di un tag acustico che, a differenza di quelli satellitari, che hanno tre anni di vita, durano anche 10 anni. Il tag è fondamentale per capire, ad esempio, come potrebbero cambiare le zone di aggregazione e le rotte migratorie, in relazione ai cambiamenti climatici. Questi rilevatori comunicano la loro posizione a ricevitori sottomarini posizionati, ormai, in quasi tutto il Mondo".
Una vera e propria equipe che “trattava”  lo squalo su tutto il gigantesco corpo: “infatti, prosegue Gennari, mentre altri ricercatori erano alle prese con i tamponi sterili da passare su lingua, denti e gengive, una persona teneva sempre d'occhio le funzioni vitali e la salute dell'animale pronto a sospendere in qualsiasi momento le operazioni se fosse stato il caso".

I tamponi nella bocca dello squalo, al di là del rischio corso dagli operatori, sono fondamentali perché in pochi sanno che la pericolosità del morso degli squali è spesso data dalla presenza di germi e batteri che sono presenti nella bocca di questi animali. Spesso si ricuciono le ferite delle vittime che, sfortunatamente, possono morire per le infezioni trasmesse dal morso. “Le analisi dei tamponi serviranno alla produzione di antibiotici e rimedi per curare questo tipo di infezioni così da salvare vite umane”.
Si è discusso dei tempi, della durata delle operazioni, secondo alcuni eccessiva: “mediamente ogni intervento ha una durata di 15 minuti, durante i quali, è bene tenerlo presente, tutta l'equipe si occupa e preoccupa dello stato di salute dello squalo, che resta la priorità. Una volta terminato il lavoro con l'animale, lo squalo viene rimesso in mare e seguito da subito. Da quel momento inizia il monitoraggio... l'avventura”.

Le polemiche 
Tanti critici hanno guardato con sospetto questa ricerca, accusata di essere stata organizzata in funzione delle riprese televisive. Qualcuno è arrivato addirittura ad incolpare il team dell'attacco di uno squalo ai danni di un surfista...
“E' vero, ci sono state critiche di vario tipo, molte costruttive, altre veramente dure e, per certi versi gratuite, in molti casi mosse da persone che, a priori, hanno preso posizione. Per rispondere alle insinuazioni posso dire che la spedizione alla quale io ho partecipato aveva come primo obiettivo la ricerca, non il documentario. Il documentario permette di sovvenzionare la ricerca che è molto costosa, ma porterà nuove informazioni al pubblico (visibili quotidianamente da chiunque sul sito sharks-ocearch.verite.com) e ai governi per migliorare la protezione dello squalo. Per noi è fondamentale conoscere le zone di accoppiamento, di riproduzione, e le rotte migratorie degli squali. Sono notizie fondamentali se davvero vogliamo proteggere questi animali. Per ciò che riguarda l'assurdità dell'accusa mossaci da chi ci additava come responsabili di un attacco mortale ai danni di un giovane, rispondo con incredulità e stupore con le parole che lo stesso il comune di Città del Capo ha usato per spiegare l'accaduto": "Lo squalo passò tre volte vicino al surfista e solo la terza volta ha attaccato. Il tutto è confermato dall'autopsia che ha evidenziato i segni di un solo morso denotando la non presunta aumentata voracità dello squalo come riportato da alcuni media. Dopo il morso lo squalo se n'è andato e non è tornato ad attaccare in zona. Il luogo dove è accaduto l'attacco è un luogo remoto e prima dell'attacco c'erano solo due persone, la vittima ed il fratello. E' noto che la sicurezza aumenta con il numero delle persone in acqua. Gli squali bianchi visitano regolarmente quelle acque. Nella zona di Cape Town vivono 3,5 milioni di persone lungo la costa, che coincide con l'habitat dello squalo bianco. Gli attacchi, purtroppo, sono accaduti, accadono ed accadranno. La nave dei ricercatori aveva lasciato Cape Town tre giorni prima dell'attacco. Il vento in quei giorni era forte ed aveva disperso la pastura, che era molto più scarsa di quella ipotizzata dai media: una testa di tonno ed un misto di sardine triturato gettato in mare ad intermittenza (esattamente la stessa che, regolarmente,  usano gli operatori di cage diving - immersioni in gabbia - regolarmente, Ndr).
"Considerato tutto, conclude il rapporto ufficiale, non c'era modo di prevenire l'attacco". 

La documentazione di cui sopra è disponibile in Rete a questo indirizzo.

"La ricerca sugli squali deve focalizzarsi sulla conoscenza applicata (non teorica) che poi servirà a guidare le decisioni di governi e conservazionisti" -  conclude Gennari - "La ricerca non è sempre bella da vedere ma le alternative (come ad esempio il finning) sono sicuramente peggiori! L'idealismo estremo non è un'opzione che gli squali si possono permettere". 

Remo Sabatini - Roma
Fonte: National Geographic Italia

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