Data: 26/10/2012
 

Tsunami, la sfida alla grande onda

Non tutti i terremoti con epicentro in mare sono causa di tsunami. In un sistema di "allerta precoce" diventa pertanto indispensabile poter verificare con misurazioni in acqua la natura di un’onda. Un contributo made in Italy

Tsunami, la sfida alla grande onda

Era dicembre, era un giorno di festa, e nello Sri Lanka il treno rosso correva, carico di passeggeri, verso Galle, lungo i binari vicino al mare, quando fu travolto da una grande onda. Poco dopo lo tsunami, Shri Kapil Sibal, ministro indiano alla Scienza, Tecnologia e Scienze del Territorio, ammise che se solo l’India fosse stata dotata di un sistema di allerta, forse le sarebbe stato possibile avvertire le zone costiere del pericolo imminente, mentre, negli Stati Uniti, Harold Mofjeld, oceanografo della National Oceanic and Atmospheric Administration (NOAA), dichiarava che ogni tentativo di allertare l’Indonesia sull’imminente rischio era caduto nel vuoto per l’assenza nell’Oceano Indiano di un sistema istituzionalizzato di diffusione allerta tsunami. Né i due centri NOAA di allerta tsunami, il Richard H. Hagemeyer Pacific Tsunami Warning Center di Ewa Beach, nelle Hawaii, e il West Coast and Alaska Tsunami Warning Center di Palmer, in Alaska, avrebbero potuto fare molto. Quello di Ewa Beach, se non lanciare l’allarme quindici minuti dopo le scosse all’origine dell’evento, diffondendolo a tutti e ventisei i paesi interessati dal sistema internazionale di allerta, fra cui Indonesia e Thailandia, da subito sul banco degli imputati per aver ignorato la minaccia.
Dopo lo tsunami del 2004 l’India ha deciso di dotarsi di un proprio sistema di controllo e monitoraggio, chiedendo allo Indian National Centre for Ocean Information Services di Hyderabad di fare da centro di allerta temporaneo attraverso la raccolta e l’analisi dei bollettini diramati da Ewa Beach, dal Dipartimento Indiano di Meteorologia, nonché dall’Agenzia Giapponese per i Servizi Meteorologici. Dal 15 ottobre 2007 il centro di Hyderabad è sede ufficiale dello Tsunami Early Warning Centre.


Il sistema di allerta tsunami
gestito da Nuova Delhi coinvolge diversi enti di ricerca del paese, fra cui il National Institute of Ocean Technology (NIOT) di Madras. Nel 2005 il NIOT, cui compete l’acquisizione e il dispiegamento della componente oceanografica del sistema, ha indetto una gara internazionale per l’ingaggio di osservatori abissali. Non tutti i terremoti con epicentro in mare sono, infatti, causa di tsunami. In un sistema di "allerta precoce tsunami" diventa pertanto indispensabile poter verificare con misurazioni in mare la natura di un’onda. Ciò per evitare falsi allarmi. Ad aggiudicarsi la commessa, la Envirtech, società italiana di ingegneria.
La tipica struttura dello Tsunami Warning System della Envirtech è composta da un modulo di monitoraggio sottomarino per la registrazione anche delle più piccole variazioni del livello del mare, quindi di una boa di superficie, per la trasmissione dati e la rilevazione meteoclimatica, ormeggiata nell’area del modulo; di un segmento di comunicazione per la connessione del modulo alla boa; di un centro di controllo a terra; di un secondo segmento di comunicazione per la connessione della boa al centro di controllo a terra, dove, a seconda della distanza da coprire, la trasmissione avviene sfruttando due canali radio, VHF o satellitare INMARSAT-MINI-C. I dati elaborati dal modulo vengono trasmessi alla boa di superficie attraverso link acustici o tecnologia magneto-induttiva con l’adozione del cavo di ormeggio della boa utilizzato per il collegamento con il modulo. A seconda della distanza della sorgente dello tsunami dalla costa più vicina, la Envirtech ha realizzato due classi di unità sommerse, VULCAN e POSEIDON.


I dispositivi della classe VULCAN
, adatti a quelle regioni che, considerate a rischio, siano caratterizzate dall’estrema adiacenza dell’epicentro dello tsunami alla costa, si presentano sotto forma di osservatori sottomarini, dalla sagoma circolare, per il monitoraggio in tempo reale del livello del mare e la contemporanea gestione ed elaborazione di una larga quantità di dati derivanti da una articolata rete sensoristica (la classe, infatti, è in grado di ricevere ed elaborare informazioni provenienti da sismometri a banda larga, idrofoni, Acoustic Doppler Current Profiler, sonde per la misurazione della qualità dell’acqua). I moduli vengono posizionati sul fondo marino grazie a linee d’ormeggio, ciò che ne fa il peso morto per la boa di superficie utilizzata per i dati satellitari. A questa tipologia appartiene, ad esempio, la piattaforma abissale MeTAS-DS2 concepita da Envirtech e altri partner nell’ambito del Mediterranean Tsunami Warning System e testata al largo di Palermo. La classe VULCAN è stata presentata anche in America Latina, dove molti dei terremoti sono causati dallo scontro della Placca di Nazca con quella sudamericana.
Alcuni di questi terremoti possono generare tsunami che colpiscono in tempi brevi la costa tanto da rendere necessaria l’implementazione di dispositivi adatti. Su invito di alcune organizzazioni governative, nel 2011 la Envirtech ha tenuto un ciclo di incontri su Southeastern Pacific Tsunami Warning Solutions presso il Servicio Hidrográfico y Oceanográfico de la Armada de Chile, a Valparaíso, la Dirección de Hidrografía y Navegación de la Marina de Guerra del Perù, a Lima, nonché lo Instituto Oceanográfico de la Armada del Ecuador, a Guayaquil. Tutti e tre i paesi hanno, infatti, allo studio l’adozione di tecniche innovative per integrare i dispositivi dispiegati dal NOAA nell’ambito del Pacific Tsunami Warning System. La presentazione del sistema Envirtech ha evidenziato le carenze del sistema NOAA DART-II sia in termini di operatività (il trenta per cento delle boe risultano disormeggiate o fuori servizio) che per la mancanza di un sistema capace di discriminare le onde di tsunami da quelle sismiche. I dispositivi della classe VULCAN integrano, infatti, un sismometro in grado di effettuare tale discriminazione, ciò che ha suscitato un certo interesse, oltre al fatto che possono essere dispiegati nel caso in cui la sorgente di uno tsunami risulti essere troppo vicina alla costa per poter lanciare in tempo l’allarme. 


La classe POSEIDON
è invece adatta a quegli scenari in cui la distanza fra la costa e la sorgente dello tsunami sia di almeno mille chilometri, ciò che consente il ritardo di un’ora e più fra la rilevazione dell’onda e lo scattare dell’allarme. I relativi moduli vengono posizionati a caduta libera a una profondità massima di seimila metri. A questa classe appartengono, ad esempio, le prime piattaforme abissali in dotazione al NIOT. La classe POSEIDON è stata da poco superata dai dispositivi della classe CALYPSO, presentati nel 2011 al Meteorological Technological World Expo di Bruxelles e oggi in dotazione al NIOT, dove un cilindro in titanio ospita un sensore di pressione, batterie al litio e tutta l’elettronica necessaria, quindi, come tutti gli tsunamimetri Envirtech, l’algoritmo di Mofjeld per la rilevazione e l’accertamento del passaggio di onde di tsunami.


E se la soluzione italiana allo tsunami
ha attirato l’attenzione di India e America Latina, nonché di Cina e Thailandia, in Europa si è tentato di mettere a punto un sistema adatto al Mediterraneo, dove i tempi di allerta sarebbero comunque inferiori rispetto a quelli del Pacifico e dell’Oceano Indiano. Tempo fa vicino Cadice, poco fuori lo Stretto di Gibilterra, sono state individuate delle strutture sismotettoniche tali, si pensa, da scatenare un terremoto di tipo tsunamigenico simile a quello che nel Settecento devastò le comunità costiere di Spagna atlantica, Marocco nord-occidentale e Portogallo. Nell’ambito del progetto NEAREST, finanziato dalla Comunità Europea, primo passo è stato pertanto il posizionamento al largo di Cadice, su una struttura geologica larga una cinquantina e lunga un centinaio di chilometri, e a tremiladuecento metri di profondità, della stazione abissale GEOSTAR. La struttura, agendo come un pistone di roccia, potrebbe trasferire grandi quantità di energia alla colonna d’acqua, dando vita a maremoti di una certa entità. Il segnale registrato dall’osservatorio abissale verrebbe in tal caso comunicato alla boa di superficie e da questa a una rete di computer posizionati fra Roma, Bologna, Venezia, Lisbona, Granada e Rabat, in Marocco. Cuore di GEOSTAR è uno speciale tsunamimetro di nuova concezione. «Lo strumento» così Nevio Zitellini, direttore dell’Istituto di Scienze Marine del CNR «si basa su un doppio controllo del segnale sismico e di pressione» e che, nel tener conto dei movimenti del fondo del mare, ne rileva, misura, registra gli eventuali cambiamenti. Ma cosa può riconoscere un simile tsunamimetro? «Variazioni di pressione dell’ordine del centimetro nella colonna d’acqua». Lo studio dell’accoppiamento fra «il moto del fondo del mare e la perturbazione della colonna d’acqua da esso generata» è, infatti, una delle «chiavi per comprendere l’irrisolto problema scientifico della generazione degli tsunami in seguito a forti terremoti».


Stefania Elena Carnemolla - Milano

 

 

La scheda: la parola tsunami è di origine giapponese, da tsu, porto, e nami, onda, questo perché anticamente si osservò che alcuni tipi di onde, superando l’abituale linea costiera, invadevano i porti e le coste, persino l’entroterra. Cosa differenzia le onde ordinarie da quelle di tsunami? Le prime sono prodotte dal vento e muovono solamente la parte più superficiale dell’acqua senza provocare alcun movimento in profondità. Le seconde muovono invece tutta la colonna d’acqua, dal fondale alla superficie, viaggiando ad elevata velocità, quasi inosservate, in mare aperto, per poi rallentare la loro corsa in prossimità delle acque costiere, dove diminuzione di profondità e fenomeni di rifrazione contribuiscono a convogliare l’energia dell’onda in un pericoloso muro d’acqua.

Onda ordinaria

 

 

 

Onda tsunami 

 

 

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