Data: 31/05/2013
 

A pochi passi dalla Jolly Nero

Eccola, la poppa con ancora i segni della tragedia. Tutti qua pensano che non sia poi tutta questa gran nave. E non era la prima volta che qualcuno "sbatteva" contro la Torre Piloti: "Ehi, comandante, ti ricordi?”

A pochi passi dalla Jolly Nero

A Genova, il 28 maggio, c’era stata pioggia fino al primo pomeriggio, poi la tregua e un improvviso cambio di programma, non salire al Castello D’Albertis, su a Montegalletto, da dove si domina il porto e la città, ma raggiungere Molo Giano dallo Yacht Club Italiano per osservare almeno da lontano la banchina dove c’era la Torre Piloti, quella urtata la notte del 7 maggio dalla Jolly Nero, quella il cui crollo è costato la vita a nove persone, quella buttata giù dalla nave da carico portacontenitori dell'armatore Messina ora sotto sequestro.

La strada che porta a Molo Giano passa sotto la sopraelevata, un percorso al buio, all’odore di pesce del vicino mercato, di vecchi edifici e cancelli che s’aprono sulle zone del porto. L’edificio dello Yacht Club Italiano, con il suo giallo paglierino, è il primo sprazzo di luce dopo tanta oscurità, ma gli alberi delle imbarcazioni e la cancellata offuscano la vista per chi voglia guardare più in là. E così abbiamo seguito due saldatori dei mari orientali, sbucati all’improvviso da una viuzza. Uno aveva in mano una maschera protettiva, andranno da qualche parte, abbiamo pensato, fino a quando non sono passati, e noi con loro, attraverso un piccolo varco, nascosto da una siepe, che porta nella zona delle Riparazioni Navali. “E' possibile guardare il mare da qui?”. “Sì, certo”. Ma era una zona off limits, non certo per loro.

Salutati i due, siamo passati davanti a una guardiola, dove anche l’unica guardia era distratta, quindi una sorpresa, una nave: la Jolly Nero. Non sapevamo si trovasse a Molo Giano. L’abbiamo fotografata, indisturbati, prima attraverso una rete metallica, quindi entrando in banchina, dove su un’utilitaria della Polizia di Stato un poliziotto riposava su un sedile abbassato, fino a quando dalla poppa aperta della Jolly Nero non ha fatto capolino qualcuno con giubbotto arancione catarifrangente. Ma abbiamo continuato a fotografare, nascondendo la macchina fotografica sotto il soprabito scuro da pioggia e da tempesta di mare: davanti a noi, la Jolly Nero in tutto il suo trionfo di ruggine e con i container ancora sul ponte. Come quella notte del 7 maggio, quando doveva andare a Napoli e da lì a Port Said e al di là del mare e invece è rimasta a Genova.

Davanti a noi, la Jolly Nero, poco più in là, riflessa nello specchio d’acqua di nuvoloni neri e grigi, la banchina dove c’era la Torre. Oggi, accanto ai paletti di cemento, ancora conficcati in acqua, della torre crollata, c’è solo la vecchia Torre, che per un po’ vigilerà sul porto. Il passato che ritorna, con la torre che non c’è più che s’aggira per i moli come un fantasma, agitando le sue catene e il sonno di molti.

Davanti a noi, la Jolly Nero, poco più in là, verso il mare di levante, una rete metallica a brandelli e un frammento di banchina accanto alla murata di sinistra della nave. E una cassetta di legno dove sedersi, allungare le gambe verso l’acqua torbida del porto e fotografare la nave. Eccola, la poppa della Jolly Nero con ancora i segni della tragedia. Eccolo, quello scafo che sa ancora di urto. Eccoti, Jolly Nero, tanto vicina da poterti toccare.

T’abbiamo fotografata, Jolly Nero, e non c’era nessuno che controllasse. Né sapevamo che quello dove t’avevano portata fosse un luogo proibito. L’abbiamo scoperto al ritorno, dopo aver chiesto un’informazione all’uomo della guardiola, sotto il cui sguardo eravamo passati poco prima: “Che ci fa lei qui? Questa è una zona vietata, non si può entrare”. Abbiamo salutato con un sorriso e siamo andati via, entrando in una bettola del porto, dove i marittimi, anche di pomeriggio, bevono birra per rinfrescarsi. Tutti qua pensano che la Jolly Nero, all’ormeggio poco più in là, non sia poi tutta questa gran nave. E quei walkie-talkie con cui a bordo comunicavano fra di loro dal ponte di comando alla sala macchine? Una risata fragorosa del marittimo con barbetta biondo birra “ma figuriamoci, in navi come quella nella sala macchine cellulari e walkie-talkie non prendono”. “Confessate, non era la prima volta che a Genova una nave urtava la Torre Piloti”. Raccontatemi, cari marittimi, che io intanto mi godo questo buon caffé che sa di mare e di porto. Sguardi bassi. “No, non era la prima volta” così il marittimo con barbetta. “Anni fa una nave passeggeri è andata contro la Torre e le s’è rotto un vetro. Lo so perché sono stato io con gli altri a portare sulla Torre il vetro nuovo con la gru. Comandante, ehi, comandante, ti ricordi?”.

I porti raccontano sempre le loro storie e non dimenticano.

 Stefania Elena Carnemolla - Milano

Inchiesta in tre parti, link: 
In viaggio sulla rotta della Jolly Nero
Jolly Nero, l'imperfezione nell'acqua di Genova



Porto di Genova, zona delle Riparazioni Navali, eccola la Jolly Nero, dietro alcuni blocchi di cemento e ammassi di ferraglie. Foto Stefania Elena Carnemolla

Porto di Genova, zona delle Riparazioni Navali, la Jolly Nero, ripresa dalla murata di dritta, fotografata dalla banchina con la prua in direzione della ex Torre Piloti. Foto Stefania Elena Carnemolla

Porto di Genova, zona delle Riparazioni Navali, la parte poppiera della Jolly Nero fotografata dalla banchina. Foto Stefania Elena Carnemolla

Porto di Genova, zona delle Riparazioni Navali, la Jolly Nero, con il portellone aperto, fotografata dalla banchina. Foto Stefania Elena Carnemolla
Porto di Genova, zona delle Riparazioni Navali, la poppa della Jolly Nero fotografata da un frammento di banchina a lato della murata di sinistra della nave. In evidenza i segni dell’incidente della notte del 7 maggio 2013. Foto Stefania Elena Carnemolla
Porto di Genova, zona delle Riparazioni Navali, la Jolly Nero con la prua verso l’ex Torre Piloti, fotografata da un frammento di banchina a lato della murata di sinistra della nave. In basso, sullo scafo, i segni dell’incidente della notte del 7 maggio 2013. Foto Stefania Elena Carnemolla



 


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