Data: 01/02/2014

Alluvioni e gestione del suolo, si salvi chi può

In Italia manca una aggiornata conoscenza dei disastri accaduti, soprattutto delle cause che li hanno determinati, il quadro normativo è pasticciato e da anni attende una riforma. Parla Antonio Rusconi, Università di Venezia (IUAV)

 

Alluvioni e gestione del suolo, si salvi chi può

Sardegna, Lazio, Calabria, Liguria, Marche, Emilia Romagna: sono soltanto alcune delle ultime regioni che hanno dovuto fare i conti con il problema delle forti piogge e le conseguenti frane o esondazioni di torrenti, canali e fiumi. E come abbiamo già sottolineato nella prima puntata di “Acqua Italia” - la nostra inchiesta sulle risorse idriche e sull'assetto idrogeologico del nostro paese - il copione è quasi sempre lo stesso: grande attenzione mediatica immediatamente successiva all'evento, servizi, collegamenti, trasmissioni, tutto ruota intorno alla ricerca delle cause per poi assistere ad un improvviso spegnersi dei riflettori che lascia molte domande in sospeso. Ma una frana è un dissesto idrogeologico? Un argine è uno strumento di assetto del territorio? Oppure è la dimostrazione dell’antropizzazione del territorio? E le opere, gli interventi e gli usi del suolo attuati dall’uomo sono sempre sinonimi di ordine, assetto e equilibrio? La natura, di suo, è ordinata ovvero dissestata? Per meglio comprendere i vari aspetti di questa complessa situazione, abbiamo fatto alcune domande al professor Antonio Rusconi dell'università IUAV di Venezia, coordinatore del corso di perfezionamento Tutela e gestione del suolo e delle acque nella pianificazione di Bacino in collaborazione con il Gruppo 183. 


Può definirci i termini "dissesto idrogeologico" e "rischio idrogeologico"?
Il termine dissesto idrogeologico ha un significato comune attualmente sempre più in disuso. Al contrario, i termini rischio idrogeologico e/o rischio di alluvioni sono adottati nelle direttive comunitarie e nelle leggi nazionali e regionali. In generale dissesto significa disordine e squilibrio, al contrario dei concetti di assetto e ordine. Il disuso deriva dalla mancanza di un modello di riferimento: cosa significa assetto del territorio e di territorio in ordine? Significa territorio lasciato alla natura, ovvero modificato dall’uomo, antropizzato, senza opere artificiali, oppure modificato dalle opere e dagli insediamenti dell’uomo. La natura, di suo, è ordinata ovvero dissestata? Una frana è un dissesto idrogeologico, ovvero se non ci fossero le frane, non ci sarebbero le pianure? Un argine è uno strumento di assetto del territorio? Oppure è la dimostrazione dell’antropizzazione del territorio? E le opere, gli interventi e gli usi del suolo attuati dall’uomo sono sempre sinonimi di ordine, assetto e equilibrio? Nel linguaggio comune e tradizionale (oggi in discussione), assetto idrogeologico significa un territorio "preparato" agli eventi pluviometrici intensi, diffusi e prolungati nel tempo. Quindi versanti montani in ordine, manutenzionati, con i drenaggi puliti, con i muri di contenimento delle aree in frana, con i boschi controllati, le piante selezionate, i pascoli vissuti e presidiati dalle comunità e dalle attività montane; in pianura l'assetto idrogeologico significa riqualificazione fluviale, manutenzione morfologica dei corsi d'acqua, alvei puliti, ghiaie livellate, deflussi idrici minimi garantiti, opere idrauliche mantenute efficienti e controllate continuamente, ma anche una limitazione allo sfruttamento delle falde acquifere, in modo da evitare il fenomeno della subsidenza, ecc..

Il termine rischio idrogeologico è definito dalla normativa vigente. Esso comprende sia il rischio di frane e valanghe, sia il rischio idraulico di alluvioni e mareggiate. In entrambi i casi il rischio è la combinazione della pericolosità idrogeologica per il danno dei beni esposti. In formula di scrive: R = P x D. Con R, rischioP, pericolositàD, danno, eguale al prodotto di Va x Vu (valore per vulnerabilità). La pericolosità è l'evento naturale: una pioggia intensa, prolungata ed estesa può scatenare eventi naturali quali le frane, le piene dei fiumi, le esondazioni, le alluvioni, le mareggiate, ecc. Se un evento pericoloso non interferisce con l'uomo e le sue infrastrutture, non comporta alcun rischio. Viceversa un evento pericoloso che va ad interessare dei beni, caratterizzati da un certo valore e da una vulnerabilità, dà luogo al rischio dei beni stessi. Secondo le diverse leggi vigenti, le aree a rischio sono perimetrate secondo 4 classi: moderato (R1), medio (R2), elevato (R3) e molto elevato (R4). La mappatura delle aree a rischio è stata effettuata nel nostro Paese nell'ambito dei Piani per l'Assetto Idrogeologico (PAI), redatti negli anni scorsi dalle Autorità di Bacino e dalle Regioni. In base a queste mappe, i piani hanno introdotto dei vincoli di natura urbanistica ed hanno proposto interventi strutturali per la mitigazione del rischio stesso. La recente Direttiva Comunitaria n.2007/60 ha confermato tale impostazione, prevedendo la compilazione, da parte delle Autorità di Bacino Distrettuali, dei Piani di Gestione del Rischio di Alluvione entro il 2015.


Ma qual è la situazione dal punto di vista idrogeologico dell'Italia?
La situazione va analizzata secondo punti diversi. Anzitutto vanno descritti, conosciuti ed e analizzati i fatti accaduti, gli eventi idrogeologici e ne vanno studiate le cause, climatiche, naturali e/o antropiche. E su questo aspetto potremmo riempire un’intera biblioteca. In seconda fase va analizzato il quadro normativo, e quindi le regole e la governance con cui il nostro Paese ha organizzato la materia della difesa del suolo e dell’assetto idrogeologico. Quali sono i piani, i programmi e le regole di cui oggi disponiamo? Al punto terzo va studiato e verificato il grado di attuazione di queste norme, i successi e le omissioni nell’attuazione delle leggi, le carenze, gli errori, le malefatte, a cominciare dalle carenze delle leggi stesse. Va detto che i tre gli aspetti ricordati denotano una situazione drammatica: manca una aggiornata conoscenza ed analisi dei disastri accaduti e soprattutto delle cause che li hanno determinati, il quadro normativo è "pasticciato" e da anni attende una riforma (in linea con le Direttive comunitarie), mancano ancora i "piani di bacino" previsti a suo tempo dall’importante legge quadro n.183/1989 sulla difesa del suolo (sono stati adottati solamente piani stralcio di bacino). Ed infine i piani" stralcio di bacino" comunque approvati negli anni scorsi non hanno trovato attuazione, per una serie di ragioni, a cominciare dalla assenza di finanziamenti, assenza e trascuratezza nella manutenzione dei suoli montani e delle opere idrauliche esistenti, ma anche per la mancanza di consensi nella attuazione degli interventi previsti, ed ancora per il ritardo con cui i Comuni hanno adeguato i propri strumenti urbanistici alle norme di utilizzo del suolo contenute nei piani stessi.


Quali sono le regioni più virtuose? E quelle meno virtuose?
Non deve porsi il problema partendo dal grado di virtuosità delle Regioni. Il tema del dissesto e del rischio idrogeologico va analizzato considerando tutte le Istituzioni e le Strutture pubbliche che direttamente si occupano di questi temi. Quindi dobbiamo iniziare il discorso analizzando la virtuosità dello Stato centrale (Ministeri e Protezione Civile) e quella delle Autorità di Bacino (composte sia dallo Stato che dalle Regioni). Negli ultimi 25 anni le Autorità di Bacino sono state virtuose? Le cose che hanno fatto sono servite? I piani fatti sono stati efficaci? Queste sono le domande da cui iniziare. In seconda battuta si devono analizzare le varie Regioni (che comunque fanno parte delle Autorità di Bacino). Le Regioni hanno il compito di dare attuazione a quanto previsto dai piani di bacino, ma bisogna vedere se e come esse stesse sono messe nelle condizioni di attuare i piani. E ritorniamo quindi al punto precedente. La distinzione sulla diversa virtuosità delle Regioni va fatta distinguendo tra le Regioni che maggiormente fanno un “gioco di squadra”, con l’Autorità di Bacino, con lo Stato centrale e con le Regioni limitrofe, e le Regioni che invece giocano comunque per conto proprio, non tenendo conto, anzi ostacolando le politiche sovraregionali. Gli esempi non mancano, anche nel Nord-Est, di questa diversa virtuosità delle Regioni. Va detto anche che lo Stato centrale, cioè i Ministeri, raramente favorisce una buone politica di assetto idrogeologico, e le funzioni di indirizzo, coordinamento e controllo molto spesso sono tardive, superficiali, inappropriate, più attente alla giustificazione/mediazione politica che a dare risposte alle reali necessità del territorio.


Gli ultimi mesi del 2013, ma anche questo primi giorni del 2014, sono stati segnati da alluvioni ed esondazioni in varie regioni: quali sono le azioni più urgenti da mettere in pratica per contrastare questi fenomeni?
L’azione più urgente è quella di riformare la legge nazionale vigente, a partire dal D.lgs n.152/2006 (Testo Unico dell’Ambiente) e dal D.lgs n.49/2010 (Gestione del rischio di alluvioni). L’attuale situazione della governance è molto impasticciata, con le vecchie Autorità di Bacino, soppresse e poi resuscitate, che svolgono in maniera precaria i compiti delle nuove "Autorità di Bacino distrettuali", istituite (quest'ultime) ma non ancora costituite a otto anni dall’emanazione della norma. Questa precarietà normativa, al verificarsi di ogni calamità, costringe a ricorrere continuamente a soluzioni commissariali di emergenza che, comunque, dimostrano di non dare soluzione definitiva alla mitigazione del rischio idrogeologico. 

- Acqua Italia. L'inchiesta. Fine seconda puntata / seconda parte (segue)

Articoli precedenti:

- Acqua Italia. L'inchiesta. Seconda puntata / prima parte: Sardegna, sofferenza d'acqua e furia del cemento

- Acqua Italia. L'inchiesta. Prima puntata: Acqua Italia, alluvioni, inquinamento e potabilità

 

Eleonora Battaglia - Roma 

 

Foto Alessandro Contaldo

 

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