Data: 22/11/2013

Buscando per mare tra paperelle e iceberg di metallo

Ogni anno circa 100milioni di container attraversano i mari e gli oceani di tutto il mondo. Ogni ora, in media, uno di questi cade in acqua. A rischio vite umane e sicurezza ambientale. La battaglia dell'eurodeputato Brian Simpson 

Buscando per mare tra paperelle e iceberg di metallo

«Signor Presidente, stamane parlo a nome della Commissione per i Trasporti e il Turismo circa una questione che è stata ignorata troppo a lungo, ovvero i container che le imbarcazioni perdono in mare». Con queste parole, pronunciate nel 2010, l'europarlamentare Brian Simpson aveva portato all'attenzione del Parlamento Europeo il problema dei carichi perduti dalle navi mercantili.

Ogni anno circa 100 milioni di container attraversano i mari e gli oceani di tutto il mondo e circa ogni ora, in media, uno di questi cade in acqua e sparisce per sempre. «Mi sorprende che, al giorno d’oggi, in un’epoca così moderna, migliaia di container manchino all’appello - ha detto Simpson -. Si stima che ogni anno ne vengano persi  in mare 10.000, una cifra sbalorditiva». Scomparsi nel nulla, finiti sui fondali marini o alla deriva tra le onde i carichi dispersi, siano essi cassoni di metallo, fusti contenenti liquidi o altro, possono inquinare i mari e rappresentano una grave minaccia alla sicurezza della navigazione.

Ma com'è possibile che una nave cargo perda una parte della merce che trasporta? L’istituto olandese MARIN ha rilevato che le principali cause del collasso delle pile di container sono le legature difettose, il peso eccessivo e lo stivaggio non corretto. A ciò possono aggiungersi le condizioni meteorologiche avverse incontrare nel corso del viaggio, oppure gli errori nella conduzione della nave (incagliamento, insabbiamento, collisione). Infine non va escluso il più inconfessabile dei motivi: l'effettiva intenzione di perdere il carico. «Verrebbe da credere che le compagnie di navigazione e le assicurazioni siano piuttosto felici di accettare un simile dato e non facciano nulla in proposito», ha fatto notare con sarcasmo l'On. Simpson. Solo in Europa verrebbero persi ogni anno circa 2.000 container, un dato che appare stranamente in crescita.


Diamo i numeri

La premessa necessaria è ricordare che il 90% della merce in circolazione nel mondo viaggia per mare, e che quasi tutto ciò che si carica sui cargo viene chiuso in container di metallo di 20 o 40 piedi, ovvero della lunghezza di 6 e 12 metri. A questo punto nasce la domanda: è davvero possibile che ogni anno 10.000 di questi contenitori vengano persi in mare? Difficile rispondere con certezza, anche spingendosi nella giungla dei dati.

Già nel 2001, ben nove anni prima dell'intervento di Brian Simpson a Bruxelles, la stima approssimativa di 10.000 smarrimenti annuali di container veniva riportata in un articolo pubblicato dalla famosa rivista National Geographic. Un numero certamente impressionante. Va notato però come, curiosamente, i dati relativi ai carichi dispersi si ridimensionino enormemente mano a mano che la loro ricerca si sviluppa nell'ambiente propriamente marittimo.

Ad esempio, stando alle statistiche fornite dell'International Group of P&I Club (associazione degli assicuratori marittimi) i container smarriti sarebbero non più di 2.500 all'anno, mentre per le compagnie assicurative Through Transport Club e Vero Insurance le perdite si aggirerebbero intorno alle 2000 unità. I dati scendono infine in picchiata guardando il sondaggio svolto tra gli operatori del settore del World Shipping Council, l'associazione che riunisce a livello mondiale tutte le compagnie mercantili: i contenitori scomparsi nell'arco dei dodici mesi sarebbero in media appena 675. Insomma, se proprio quest'ultimo dato fosse quello esatto, i “lost container” rappresenterebbero appena lo 0,0005% dei 100 milioni che attraversano i mari ogni anno.

Nessun allarme quindi? Non proprio. Nei porti europei e non solo, un borbottio frequente sembra insinuare il sospetto che alcune compagnie di navigazione preferiscano non rivelare quanti contenitori smarriscono, per non lasciare un'impronta negativa sul loro business...


Scarpe, patatine, giocattoli e...
Una tempesta, una manovra errata o un errore nello stivaggio, ed i container cadono in mare. E poi? Tanti o pochi che siano, la nostra conoscenza su ciò che accade ai carichi perduti dalle navi è pressoché nulla. Si stima che il 70% delle merci perse affondino rapidamente, con il rischio di provocare dei danni all'ecosistema marino. Il 15% dei carichi giungono a riva e il restante 15% fluttua negli oceani trasportati dalle correnti, coprendo anche distanze enormi.

Esistono simpatici esempi di carichi andati perduti, storie finite poi sulle pagine dei giornali di tutto il mondo. Come le 80.000 scarpe da ginnastica Nike che si trovavano in un container perso dalla nave Hansa Carrier nel 1990 e che, nei tre anni successivi, si sparpagliarono lungo le coste degli Stati Uniti. Sempre negli Usa, migliaia di sacchetti di patatine Doritos, sigillati e dal contenuto commestibile, finirono sulle spiagge della North Carolina nel novembre del 2006. Uno spettacolo sorprendente, provocato anche in questo caso dalla caduta in mare di un container e simile in tutto e per tutto a quello apparso nel 2008 agli abitanti di Blackpool, nel Regno Unito, i quali videro arrivare a riva centinaia di confezioni di biscotti persi dal mercantile Riverdance.

Ma l'episodio più famoso rimane forse quello di una partita di oggetti di gomma caduti nell'oceano a gennaio del 1992 dopo la scomparsa di un container trasportato da una nave cargo cinese (la Ever Laurel). Ventottomilaottocento giocattoli tra papere gialle, tartarughe blu, rane verdi e castori rossi, destinati al massimo a galleggiare in una vasca da bagno, finirono alla deriva. In questo caso la presenza di migliaia di animaletti di gomma alla stato “brado” (Friendly Floatees) divenne un'incredibile opportunità per alcuni ricercatori di Seattle, che ancora oggi stanno monitorando i loro movimenti nei mari del pianeta al fine di ricostruire un modello dettagliato delle correnti oceaniche. Insomma, seppur in maniera divertente questo bizzarro incidente è riuscito a rendere perfettamente l'idea di come un singolo container disperso possa avere un enorme impatto a livello globale. Non bisogna dimenticare infatti che la maggior parte dei carichi marittimi andati perduti possono finire con l'inquinare i mari con sostanze tossiche e non tossiche.


Iceberg di metallo a zonzo negli oceani
Secondo la compagnia assicurativa neozelandese Vero Marine, un container da 20 piedi può galleggiare per un massimo di 57 giorni, mentre un container da 40 piedi può rimanere a pelo d'acqua tre volte di più. Un tempo comunque molto lungo, nel quale un carico perduto può entrare in collisione con qualsiasi cosa. Non comparendo sempre sui radar, ed essendo particolarmente difficile da individuare soprattutto di notte, ogni singolo container può essere scagliato dalle onde come un proiettile addosso a barche e navi di ogni tipo. 

Lo sanno bene i velisti che durante le traversate dell'Atlantico hanno trovato sulla propria rotta questi pericolosissimi iceberg di metallo. E quando, invece di una piccola barca, ad essere colpita da un oggetto alla deriva è una nave petroliera le conseguenze possono essere terribili. Proprio un urto violento con un oggetto galleggiante di grandi dimensioni alla mercé delle onde, potrebbe essere stata la causa dell'incidente alla petroliera Prestige, colata a picco il 19 novembre 2002 al largo delle coste galleghe, dopo aver riversato in mare 77.000 tonnellate di greggio. Il capitano del tanker riferì infatti di aver avvertito un rumore molto forte a dritta: un colpo provocato da qualcosa che, probabilmente, aprì una falla nello scafo. Coincidenza vuole che proprio quello stesso giorno un mercantile in transito nel corridoio marittimo galiziano abbia riportato la perdita di 200 tronchi di 17 metri di lunghezza per 30 centimetri di diametro...

In ogni caso, trovarsi di fronte un ostacolo imprevisto mentre si naviga non è purtroppo così raro. La perdita più rilevante di un carico in mare avvenne nel 1998, quando a causa di una burrasca nel nord del Pacifico finirono in acqua ben 1000 container trasportati da tre navi diverse. Nel 2000 invece, il peschereccio britannico Solway Harvester venne colpito da un container nel Mare d'Irlanda: tutti e sette i membri dell'equipaggino morirono in seguito all'impatto. Dodici anni prima, più o meno nella stessa area, il cargo Ardlough, partito da Liverpool e diretto a Belfast, colò a picco con a bordo almeno un container di sostanze radioattive di carattere militare.

«Nessun pericolo di inquinamento, la radioattività era minima», si affrettarono a dire le autorità. Ma sarà stato vero?
 Più recentemente, nell'ottobre del 2011, ha destato clamore l'incagliamento sulla barriera corallina dell'Astrolabio, al largo della Nuova Zelanda, della nave Rena. Soltanto le tempestive operazioni di messa in sicurezza dell'imbarcazione hanno evitato che la perdita di alcune tonnellate di carburante e di una parte consistente dei container trasportati causassero dei danni ambientali rilevanti.

Tornando in Europa, una delle perdite di carico più rischiose si è verificata l'8 febbraio 2010 nel tratto di mare che separa la Polonia e la Svezia. Qui, la nave mercantile finlandese Linda ha perduto, fortunatamente senza conseguenze, tre container contenenti 8,3 tonnellate di sostanze pericolose per l’ambiente, 7 tonnellate di prodotti nocivi per la vita marina e 5,5 tonnellate di sostanze infiammabili.


Che fare?
«La caduta dei container dalle navi è pericolosa e perderne 10.000 all’anno è inaccettabile», ha tuonato nell'aula di Bruxelles il tenace On. Simpson. Anche l'On Dominique Riquet ha sollecitato un intervento della Commissione Trasporti dell'UE per ridurre queste cifre: «Sono in gioco la sicurezza ambientale e molte vite umane - ha detto nel suo intervento - non dobbiamo dimenticarlo».

Per migliorare la situazione i due europarlamentari hanno proposto alcune soluzioni attuabili. Prima di tutto sarebbe necessario uno stretto controllo per garantire che tutti i container siano regolarmente pesati in porto e stivati in modo corretto prima che le navi prendano il largo. E' stato consigliato inoltre di munire i container di alcuni fari di localizzazione e di un sistema gps che consenta la loro rapida localizzazione una volta caduti in mare. Soprattutto queste ultime misure potrebbero influire in modo decisamente positivo sulla questione relativa alle responsabilità per i danni provocati dai carichi perduti. Troppo spesso, infatti, la mancanza di un proprietario noto non permette di richiedere dei risarcimenti, con il rischio per le autorità locali di vedere le proprie casse prosciugate dai costi di ripulitura delle coste e delle acque.

La reazione della Commissione a queste proposte, nonostante il tema dei carichi dispersi appaia tutt'altro che irrilevante, è stata tiepida al punto da non prevedere a riguardo alcuna concreta iniziativa legislativa. Va sottolineato però che esistono già delle normative europee che specificano come assicurare le merci e che solo il 46% delle navi rispetta regolarmente. Insomma, per compiere un primo passo avanti basterebbe cominciare con l'osservare sempre le leggi in vigore.


Massimiliano Ferraro - Imperia

 

 


  

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