Data: 01/11/2013
 

Navi dei veleni, La Spezia è l'ultima chance

Tanti moli appartati, installazioni militari, fabbriche di armi e tanti segreti. Città di mare senza una spiaggia, di poteri sotterranei e centro di interessi enormi, nodo nevralgico nel traffico internazionale di rifiuti tossici. Nuovi indizi

Navi dei veleni, La Spezia è l'ultima chance

Non ci sono notizie di reato, l'esposto è da archiviare. E' questa la conclusione della procura spezzina dopo quattro anni di indagini sul traffico illecito di rifiuti che hanno avuto al centro la città della Spezia. Un'inchiesta iniziata dopo un esposto presentato da Legambiente, che ora si oppone all'archiviazione chiedendo al gip di proseguire le indagini: «Ci sono elementi tali da far ritenere che alla Spezia, come in Italia il capitolo “navi dei veleni” connesso al tema dei rifiuti tossici, sia ancora attuale» insiste l'associazione ambientalista «tanto in base alle dichiarazioni di collaboratori di giustizia, quanto in base alla nuova perizia sulle cause del decesso del capitano De Grazia, la quale stabilisce la morte non naturale dell'investigatore».

L'esposto in questione era stato presentato nel 2009 in seguito alle sconcertanti dichiarazioni del pentito di 'ndrangheta Francesco Fonti, che aveva parlato di una nave carica di rifiuti tossici affondata al largo della Spezia. La criminalità organizzata calabrese, aveva sostenuto Fonti, avrebbe affondato delle carrette del mare davanti al Kenya, alla Somalia e allo Zaire, oltre che «sui fondali dei nostri mari, anche nel tratto davanti a La Spezia». Dichiarazioni roboanti che non erano servite però a far considerare attendibile il pentito, poi deceduto nel dicembre del 2012.

Finora tutte le inchieste che hanno tentato a seguire le rotte dei rifiuti tossici si sono concluse con un nulla di fatto. Va ricordato infatti che la richiesta di archiviazione della procura di La Spezia segue di pochi mesi a quella arrivata da Nocera Inferiore, che a febbraio aveva annunciato di non aver ravvisato elementi utili per riaprire le indagini sulla morte del capitano di corvetta Natale De Grazia.

Un crocevia di poeti e trafficanti
Tanti moli appartati, installazioni militari, fabbriche di armi e tanti segreti. A La Spezia, piccola capitale di quel golfo che Napoleone descrisse come «il più bello del mondo», sembra proprio non mancare niente, nemmeno una delle più grandi discariche di scorie tossiche d'Europa: quattro vasche sovrapposte sul promontorio di Levante che formano la discarica di Pitelli.

«Pitelli e La Spezia sono il simbolo vivo dell'Italia dei veleni», ha scritto il giornalista Andrea Palladino nel suo libro “Trafficanti”. E infatti secondo alcune ipotesi investigative, per ben vent'anni, dagli anni '70 agli anni '90, sarebbero stati interrati nella discarica spezzina rifiuti pericolosi e tossico-nocivi. Ma il processo per disastro ambientale si è concluso nel 2011 assolvendo tutti gli imputati perché «il fatto non sussiste».

Una sentenza che non ha mai convinto gli ambientalisti sulla reale natura e sulla provenienza dei rifiuti finiti a Pitelli, dove si vocifera sia finito di tutto: dalle scorie nucleari alla diossina di Seveso fino ai rifiuti tossici sbarcati dalle prime navi dei veleni. Ipotesi, ancora solo ipotesi, alle quali né le inchieste giornalistiche né quelle giudiziarie sono riuscite a togliere il condizionale.

Tra le tante che negli anni hanno indicato La Spezia e il suo porto come un crocevia per i traffici illeciti di veleni e di armi, c'è un appunto informativo della DIA di Genova del 19 maggio 1997 nel quale si descrivono i rapporti tra alcuni clan somali di Bosaso e i mediatori di armi con base nel Golfo dei Poeti. Bosaso, uno degli snodi dei traffici di armi e rifiuti tossici su cui indagava la giornalista Ilaria Alpi, uccisa a Mogadiscio il 20 marzo 1994 insieme al suo operatore Miran Hrovatin. «E' chiaro», scriveva l'Antimafia, «il ruolo dei massoni spezzini quali mittenti di materiale bellico, anche di provenienza dell'Est Europa, nell'area del Corno D'Africa, Somalia».

La Spezia, città di mare senza una spiaggia, città di poteri sotterranei e centro di interessi enormi. La Spezia dove, si bisbiglia, c'era sempre un attracco “a disposizione” e dove i servizi segreti erano di casa. Da qui nel 1977 cominciò la crociera di carico del mercantile Lorna I, (come abbiamo raccontato qui, su Maree) svanito nel nulla insieme al suo equipaggio nel Mar Nero e, qualche anno dopo, scomparso anche dall'inchiesta sul traffico internazionale di armi aperta a Trento dal giudice Carlo Palermo.

Sempre da La Spezia nel 1985 salpò alla volta di Lomè, in Togo, la motonave Nikos I, mai arrivata a destinazione e sparita in circostanze nebulose. Un anno dopo toccò alla Panayota, partita da La Spezia il 2 febbraio 1986 e affondata l'11 marzo presso l'isola di Pianosa con un carico formato da una non meglio specificata «fanghiglia fortemente maleodorante con vaste zone schiumose ed in evidente stato di fermentazione e putrefazione» (vedi testimonianza raccolta da Legambiente). Mentre nel settembre del 1987 scomparve al largo di Capo Spartivento la Rigel, un altro cargo partito dal porto della città ligure con un carico ritenuto sospetto dalle indagini svolte dalla Procura di Reggio Calabria.

Si arriva così al 1989, dove sulla rotta La Spezia-Beirut-La Spezia viaggiò la Jolly Rosso, inviata in Libano dal governo italiano per recuperare circa 2 mila tonnellate di rifiuti tossici scaricate in precedenza da una società lombarda. La stessa nave, rinominata Rosso, prese il largo sempre dal porto della Spezia il 4 dicembre 1990, finendo spiaggiata qualche giorno dopo sulla costa calabrese, in una frazione del comune di Amantea.
Stando ai documenti ufficiali, al momento dello spiaggiamento la nave trasportava merci innocue quali generi di consumo e tabacco. Nonostante si sia parlato a lungo di presunte attività illecite collegate all'attività della nave, nel 2009 anche l'ultima delle tre inchieste sui fatti di Amantea si è conclusa con l'archiviazione.

Bisogna allora ritornare ancora una volta alla Spezia, l'«azzurra città di sogno e di amore» descritta in un romanzo di Liala, il luogo dove Hemingway aveva osservato «le strade larghe e le case alte e gialle» e dove i misteri più cupi sembrano annidati in ogni angolo del golfo, anche se nessuno nota nulla.

Natale De Grazia
Chi era costui? Era “semplicemente” un onesto servitore dello Stato che come ha ricordato nel 2001 il Presidente Ciampi, «nonostante pressioni ed atteggiamenti ostili svolgeva delle complesse investigazioni che, nel tempo, hanno avuto rilevanza e dimensione nazionale nel settore dei traffici clandestini ed illeciti operati da navi mercantili». Ma non solo. De Grazia era soprattutto un investigatore troppo abile e audace per sopravvivere in uno Stato che si ostina a tenere nascosta la sua anima nera. Probabilmente, egli fu anche una vittima del sottobosco melmoso della Repubblica fatto di servizi deviati, mafia e massoneria, sempre pronti a neutralizzare chiunque provi ad arrivare troppo vicino alla verità. Sicuramente, con il suo operato fu l'esempio più fulgido dell'Italia pulita che ancora oggi vorremmo, ma che non riusciamo ad essere.

I misteri della Latvia
Nel 1995 il Capitano di corvetta Natale De Grazia aveva seguito fino a La Spezia le rotte dei veleni che lasciavano l’Italia e che, secondo il pool di investigatori coordinato dal pm Francesco Neri, sparivano nei mari. Un'indagine incredibile in cui veniva ipotizzato che qualcuno, «forte di straordinarie complicità affondasse rifiuti pericolosi sotto i fondali marini», colandoli a picco su vecchie navi.

Navi come la Latvia, all'epoca ormeggiata guarda caso a La Spezia, indicata come una delle imbarcazioni controllate dal KGB sovietico destinata al trasporto di rifiuti nucleari o tossico-nocivi. La Latvia, scrive la Commissione parlamentare sul Ciclo dei Rifiuti, «viene menzionata nell’annotazione di polizia giudiziaria, redatta in data 10 novembre 1995, con la quale il brigadiere Gianni De Podestà comunicò alle procure di Reggio Calabria e di Napoli che fonte confidenziale attendibile aveva di recente riferito in merito al coinvolgimento di famiglie camorristiche e logge massoniche deviate nei traffici di rifiuti radioattivi e tossico nocivi interessanti la zona di La Spezia e l’hinterland napoletano».

Una nave dei veleni a tutti gli effetti, sulla quale De Grazia e il procuratore Neri iniziarono ad indagare ma, secondo la stessa Commissione rifiuti, «senza effettuare verifiche approfondite». Questa, in particolare, è la conclusione alla quale è giunta la Commissione presieduta dall'onorevole Pecorella: «Non può non sottolinearsi la peculiarità della vicenda, tenuto conto dei seguenti dati: nel pieno di indagini concernenti l’utilizzo di navi per lo smaltimento illecito di rifiuti tossici, vi era la possibilità di monitorare una nave, la Latvia, rispetto alla quale vi erano concreti indizi in merito al suo utilizzo per le predette finalità illecite; […] paradossale è poi che non sia stato predisposto un servizio di osservazione in merito agli spostamenti della nave».

Molto strano quindi, perché mai come in quel caso si arrivò vicini a svelare gli intrecci oscuri che avevano come centro La Spezia. Tutto, come si diceva, rimane nell'ambito delle ipotesi, ma forse fu proprio in quel momento che, come scrisse il capo del nucleo operativo provinciale dei Carabinieri di Reggio Calabria Antonino Greco, «forze occulte di non facile identificazione» si misero in moto per «controllare gli investigatori nel corso della loro attività». Il risultato, come sappiamo, fu tragico: nel dicembre 1995, proprio quando era in procinto di chiudere le sue indagini, De Grazia morì improvvisamente mentre stava per raggiungere La Spezia per verificare al registro navale i dati di circa 180 imbarcazioni affondate. Non è stato un caso, fa notare ancora oggi Legambiente, che il Capitano venne fermato mentre saliva verso la Liguria. Eppure, per molto tempo, la morte di De Grazia fu attribuita a cause naturali, nonostante egli avesse solo 39 anni e godesse di ottima salute. Fatti che, sommati alle delicate indagini che l'investigatore stava conducendo, resero fin da subito difficile accettare passivamente la verità ufficiale.

Ci sono voluti 17 anni per accertare che la morte dell'uomo che voleva fare luce sulla navi dei veleni «fu conseguenza di una causa tossica», confermando in questo modo gli scenari più inquietanti sull'intrigo del traffico di rifiuti via mare. Dunque, come ha sostenuto l'ex pm Neri, «il capitano Natale De Grazia è stato ucciso, lo possiamo affermare alla luce di quanto emerso dalla relazione conclusiva della Commissione parlamentare sul ciclo dei rifiuti». Già, ma chi ha voluto la morte di De Grazia e perché? Sta in queste domande la chiave per capire che fine hanno fatto le decine di navi, probabilmente cariche di rifiuti, sparite in mare. Interrogativi a cui forse non avremo mai una risposta. Dovremo quindi accontentarci ancora una volta dei sospetti, degli indizi non confermati, delle circostanze “strane”.

Come nel caso del fax spedito alla procura di Reggio Calabria due giorni dopo la morte del Capitano, in cui si riferì della partenza da La Spezia della motonave Latvia con destinazione Turchia. O come i documenti custoditi nell'archivio della Capitaneria di porto della città ligure che De Grazia avrebbe dovuto visionare, resi irrimediabilmente inutilizzabili dopo l'allagamento di quegli uffici. Cose che capitano, certo. Ma quando si tratta di andare a fondo sulla vicenda delle navi dei veleni capitano sempre troppo spesso.

L'ultima
chance
L'opposizione di Legambiente alla richiesta di archiviazione del filone spezzino dell'inchiesta sul traffico di veleni viene motivata dai nuovi indizi ricavati all'inizio del 2013 dalla relazione conclusiva della Commissione sul Ciclo dei Rifiuti. In particolare, affermano gli ambientalisti «il quadro indiziario emerso dall’audizione di fonti testimoniali nell’ambito delle commissioni parlamentari di inchiesta non lascia dubbi sul fatto che l’Italia ed in particolare Spezia siano state un nodo nevralgico nel traffico internazionale di rifiuti tossici».

Il 22 gennaio prossimo verrà esaminata la nuova documentazione presentata da Legambiente tramite il suo legale. La speranza è che si possa ripartire, faticosamente, sciogliendo i fili di una vicenda inquietante che nessuno finora è riuscito mai a chiarire.

 

Massimiliano Ferraro - Torino

Link:

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